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B come bresaola
Pubblicato il 15/02/2013
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Sulle tavole degli italiani, è ormai presenza consolidata, in quanto pratica alternativa alla carne fresca, soprattutto nel periodo estivo, compatibile inoltre con regimi ipocalorici. Oltre alla Bresaola della Valtellina IGP, sono riconosciute come prodotti agroalimentari tradizionali anche la bresaola affumicata e la bresaola di cavallo. In base ai dati del rapporto Assica, nel 2010 sono state prodotte 17 mila tonnellate di Bresaola, con un incremento del 7,43% rispetto all’anno precedente. La quota di Bresaola della Valtellina, certificata Igp, è circa il 66% del totale prodotto, per un valore di circa 200 milioni di euro, una risorsa notevole per la provincia di Sondrio, ove si contano 15 aziende appartenenti al Consorzio e circa 1.200 addetti alla filiera di produzione. L’export riguarda soprattutto Svizzera, Francia, Germania, Regno Unito e Austria, ma sono in crescita Libano, Emirati Arabi, Hong Kong e paesi islamici, che la apprezzano in quanto unico salume a base di carne di manzo. Grazie alla particolare conformazione e al clima montano fresco, ventilato e asciutto, mitigato dalla “breva” del Lario l’intero territorio della provincia di Sondrio si presta a una stagionatura ottimale, senza dover ricorrere a grandi quantità di sale, a tutto vantaggio della morbidezza e della delicatezza del prodotto. Tuttavia l’allevamento bovino tradizionale è ridotto al minimo; ne conseguono la non praticabilità della Dop e il massiccio ricorso a carni d’importazione.

La punta d’anca (peso minimo 2,5-3 kg all’origine) è il taglio più pregiato, e corrisponde alla parte della fesa privata del muscolo adduttore. Ma si utilizzano anche fesa, sottofesa, magatello e sottosso, sottoposti a salagione a secco in apposite vasche d’acciaio, assieme a pepe, aromi, spezie e vino. consentiti additivi come nitriti e nitrati di sodio e potassio, acido ascorbico e suo sale sodico. In questa fase, che dura dai 10 ai 20 giorni, la carne si disidrata e si insaporisce; dopo breve riposo e asciugatura inizia la fase decisiva della stagionatura (2-4 mesi), a temperature tra 12 e 18°, con umidità relativa dell’aria tra il 70 e il 90%. Il metodo di conservazione della carne mediante salatura ed essiccamento è antichissimo, e accomuna la Bresaola a specialità come il Bundnerfleisch dei Grigioni e la Suschenaja govjadina affumicata della Russia meridionale. In Garfagnana c’è poi un cugino stretto della Bresaola, ovvero il Manzo di Pozza della Valle del Serchio, coscia di manzo salata e stagionata in fosse rocciose dette “pozze”. In realtà a tutte le latitudini si ritrovano prodotti affini, dal Pemmican canadese al Biltong di antilope africana. L’origine etimologica del nome è controversa e tuttora assai dibattuta, come sancito anche dagli Atti del Convegno Bresaola della Valtellina, svoltosi a Tirano nel 1997.  Un’ipotesi affascinante è la derivazione dall’etimo “bre” o “bri”, ovverosia “cervo”, il primo ruminante cacciato e addomesticato dalle tribù protostoriche, dalle Alpi fino a Brindisi, città del cervo, dal messapico “brenda”. Tuttavia, senza risalire ai cervidi, è curioso che ai più sia sfuggita la stretta parentela col Brési d’oltralpe, salume tipico bovino della Franca Contea, da consumare a fette sottili come antipasto o come arricchimento di raclettes e fondute, citato come Brésilium fin dal Cinquecento. Brési e Brésilium rimandano con evidenza, prima ancora che a Bresaola, a Bresil, e cioè al Brasile. Il Pau Brasil, o Pernambuco, l’albero esotico che ha dato nome al Paese, era infatti chiamato così dai Portoghesi a motivo del color rossastro, come brace ardente (“brasa” appunto), della tintura che se ne estraeva. La Bresaola stagionata ha appunto lo stesso colore e la stessa rigidità di quel legno pregiatissimo e leggendario, e appare più che plausibile che qualche mercante abbia coniato spontaneamente un nome che poi ha avuto gran fortuna sia in Francia che in ambito italico. Oggi che il Pau Brasil è a rischio estinzione, la Bresaola nostrana rinsalda per altra via il suo legame col Brasile, diventandone il primo importatore di carne macellata di Zebù (razza indiana ampiamente allevata in Sud America), a quanto pare materia prima di prim’ordine per la produzione del celeberrimo salume valtellinese.

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