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B come Burro parte seconda
Pubblicato il 18/01/2013
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Nella prima parte di questo articolo abbiamo descritto la tecnica tradizionale di lavorazione, la cosiddetta zangolatura continua, la più adatta a ottenere un burro di qualità partendo da una crema di alta qualità, possibilmente separata dal latte con un processo rapido di centrifugazione. Si parte, cioè, dal latte fresco intero e tramite centrifuga si ottengono due prodotti: una frazione più leggera (la crema, di gran pregio per la produzione di burro) e un latte parzialmente scremato, da destinare tal quale al consumo umano o da avviare ad ulteriori lavorazioni. In Francia il burro Aoc e “fermier” (di fattoria) è appunto a base di panna centrifugata, pur rappresentando solo un 10% della produzione totale. In Italia è invece preferito il sistema “di casone”, detto anche “per affioramento”, ovvero lo stoccaggio del latte in grandi vasche fino a che la crema affiora naturalmente in superficie. In tal modo la frazione di latte non burrificata è prontamente utilizzabile per l’industria del Parmigiano e del Grana Padano, da noi leader assoluta del settore lattiero- caseario. Purtroppo, per ogni minuto di sosta si incrementa l’acidità, rendendo poi necessarie correzioni del ph con composti basici che ne riducono ai minimi termini il pregio organolettico. Ma non basta: dopo aver sottoposto il latte alla coagulazione per ricavarne il formaggio, l’industria sfrutta anche il siero sgrondato, che contiene ancora una percentuale di grasso più o meno inacidito. In alcuni stabilimenti si usa aggiungere un certo quantitativo di crema di latte fresca per migliorare quello che, altrimenti, sarebbe un prodotto decisamente scadente. Nessun valore hanno infine menzioni più o meno fantasiose, quali "ottenuto da creme selezionate" o "da pascoli di montagna". Al fine di una puntuale qualifica degli standard produttivi relativi a burro e della crema di latte e per stabilirne l'accettazione allo stoccaggio, la Comunità europea ha adottato, oramai da una quindicina di anni, una procedura di verifica della qualità del burro applicabile in tutti gli Stati membri, contenuta nel Regolamento 2771 del 1999, a sua volta basato sullo standard sviluppato dall'International Dairy Federation, la Federazione internazionale che raggruppa i produttori di latte e derivati.

Detta procedura è basata sulle caratteristiche organolettiche del prodotto finito, considerando le tre fasi canoniche visiva, olfattiva e gustolfattiva , oltre a criteri specifici quali regolarità del taglio e spalmabilità. L’Italia, purtroppo, fatta eccezione per alcune produzioni di nicchia, è fanalino di coda della qualità: il burro cosiddetto di marca non raggiunge lo standard minimo, e spesso presenta anzi marcati difetti. È carente la cultura del burro di qualità, manca la convenienza a produrlo anche per soggetti importanti, che avrebbero a disposizione grandi quantità di latte con la possibilità di ricavarne ottimo burro, quali le cooperative sociali e le centrali del latte. Tranne virtuose eccezioni, infatti, (un burro di notevole qualità si trova, ad esempio, sulle Dolomiti) le centrali optano per un modus operandi privo di rischi: congelano il burro ricavato dalla scrematura e lo destinano all’ammasso comunitario, intascando i sia pur minimi contributi di legge. La dimensione industriale adotta comunque la burrificazione continua, più standardizzata e razionale, ottimizzando la procedura con sistemi quali i cosiddetti Fritz e Contimab (basati su sbattimento e raffreddamento della crema), il processo Alfa analogo al precedente , ma con arricchimento della crema, il processo Senn che utilizza CO2 sotto pressione, i sistemi USA Cherry-Burrel e Creamery Package, che utilizzano una crema con tenore in grasso superiore al 90% e consentono di produrre burro anidro, molto più conservabile.

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