Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
B come braciola
Pubblicato il 23/11/2012
Fotografia

Nel suo Dizionario di Gastronomia, Antonio Piccinardi descrive la Braciola come un taglio di carne piatto e sottile, atto a essere “braciato”, ovverosia cotto alla brace. Definizione calzante a pennello, almeno nell’Italia del Nord e in Toscana, ove, sulla scia dell’Artusi, vige precisa distinzione fra Braciole di suino, manzo o vitello, con o senza osso. Così si hanno, ad esempio, gustose Braciolette di maiale da spadellare con rosmarino, salvia, finocchietto (benissimo col Marzemino d’Isera Husar di De Tarczal); oppure Braciole di agnello, caratteristicamente con l’osso che fa da impugnatura nella semplice e popolarissima ricetta a scottadito (che fragranza, col Rosso di Sassotondo a base Ciliegiolo!).  Nel Mezzogiorno, però, il significato del termine tende a cambiare radicalmente, riferendosi a pietanze assai più elaborate, soggette a lunghi tempi di cottura in abbondante intingolo; le Braciole napoletane, ad esempio, diventano involtini carnei farciti di uva passa, erbe aromatiche, pinoli e aglio, fondamentali per insaporire il sugo della domenica e dei dì di festa. Tipica dell’area rurale del Sarno è la Braciola di Capra di Siano, di recente inserita nell’elenco dei prodotti tradizionali della Campania, ricavata da spalla o coscia, farcita di pecorino stagionato e di un trito aromatico di aglio, prezzemolo e pepe, da cuocere lentamente in umido con pomodori pelati ed extravergine di oliva. Il gustoso intingolo che ne deriva è condimento canonico di penne, ziti o candele spezzate. In alcune aree interne dell’Appennino centro-meridionale la Braciola è invece invariabilmente di castrato, come quella di Cittareale, celebrata da apposita sagra. Cambia ancora il significato in Puglia, ove la Braciola è taglio equino: alla domenica Orecchiette e Cavatelli  si sposano tradizionalmente col sugo saporito delle Braciole, o Brasciole, di cavallo, da far addensare lentamente in tegame di coccio a fuoco bassissimo. Ogni involtino carneo ben spianato (si usava, un tempo, anche l’asino) racchiude caciocavallo grattugiato, trito vegetale con aglio e cipolla, una punta di peperoncino e spezie, e andrebbe legato con spago bianco sottile da cucina piuttosto che infilzarlo con stuzzicadenti o, peggio, spiedino di legno come usa oggi. Facoltativo insaporire ulteriormente con pancetta, salsiccia, alloro, tassativo un mezzo bicchiere di Primitivo per sfumare prima di aggiungere il pomodoro, lo stesso che poi a tavola servirà da accompagnamento, magari in versione rosato sul primo piatto, vinificato in rosso e di due-tre anni sull’involtino che farà da secondo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA