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B come bazzoffia
Pubblicato il 14/09/2012
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L’area dei Monti Lepini tra Sezze, Priverno e Fossanova è un palinsesto di grande interesse storico e antropologico: secondo la leggenda, Ercole avrebbe fondato Sezze dopo aver sconfitto i Lestrigoni, popolazione leggendaria stanziata nel basso Lazio. Lo stemma della città raffigura il leone nemeo, (fiera mitica vinta da Ercole in una delle sette fatiche) con una cornucopia ricolma di frutti, contornata dal motto latino “Setia plena bonis gerit albi signa leonis” (Sezze ricca di beni porta l'insegna del bianco leone). Il territorio era già abitato nel Paleolitico superiore (pitture rupestri nella grotta Arnalo dei Bufali, manufatti litici), poi fu città latina alleata dei Romani contro i Volsci. L’Abbazia Cistercense di Fossanova conserva memorie che vanno dai Templari a San Tommaso d’Aquino che qui visse i suoi ultimi anni. La Bazzoffia (termine toscaneggiante, che evoca l’eterogeneità degli ingredienti) è una zuppa di verdure e legumi tipica di quest’area un tempo ai bordi delle paludi pontine. Ogni famiglia è depositaria di una sua variante della ricetta, che si preparava, come piatto unico corroborante, ma anche beneaugurante e propiziatorio, all’inizio della nuova stagione agricola, tra la primavera e l’estate, partendo da un battuto di cipolla rosolato in coccio al quale si aggiungono carciofi locali (Sagra annuale il 17-18 aprile) e tenera lattuga tagliati a listarelle, piselli dolci novelli, fave fresche, due foglioline di salvia. E’ tradizionale l’aggiunta di qualche lumaca di vigna (ciammaruche), che ora i più tendono a sostituire con fettine di guanciale, sul modello della“vignarola” romanesca. La vera Bazzoffia, comunque, si distingue per la sobbollitura lunga e paziente (un’ora o poco più) e il servizio in tegamini di coccio lastricati di pane raffermo locale, che deve risultare bene imbevuto dal brodo (lasciar assorbire un paio di minuti, coprendo con una scodella). Si completa all’ultimo momento con un tuorlo d’uovo (alcuni preferiscono l’uovo in camicia) e un giro di extravergine; arricchendo ulteriormente, se proprio si vuole, con una grattata di pecorino romano e peperoncino a piacere. Assolutamente niente pasta, che è contaminazione moderna. Fondamentale, invece, proprio per il carattere di pietanza contadina di recupero, la scodella rustica “collo (qui si pronuncia coglio) pane sotto”, che sia però autentico setino, impastato a mano con le tradizionali varietà di grano Roma, Romanella e Mentana, lievitato col “crisculo” naturale e cotto nel forno a legna, durata una settimana. A Sezze l’arte di fare il pane è da più di duemila anni squisitamente femminile, come dimostrano “La Setina” di Caio Titinio (II sec.a. C.) e “Gli Argonauti” di Caio Valerio Flacco. Il pane come una volta si trova a Sezze da Onelia, o da Rita Malandruccolo o al Forno di Luca e Tommaso nella zona artigiana. Abbinamento consigliato con la Bazzoffia, Moro 2010 di Marco Carpineti o Chardonnay Pezze di Ninfa 2011 del Quadrifoglio.

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