Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
B come baccalà
Pubblicato il 15/06/2012
Fotografia

In primo luogo bisognerebbe distinguere tra baccalà propriamente detto, conservato sotto sale, e stoccafisso, essiccato all’aria gelida e salmastra della lunga notte artica, con temperature vicine allo zero e virtuale assenza di precipitazioni. In entrambi i casi si tratta di merluzzo (Gadus morhua), che dal Mare del Nord migra a banchi verso Groenlandia, Terranova e Labrador. Seguendone le rotte, Eric il Rosso approda in America cinque secoli prima di Colombo e i pescatori baschi lo considerano importante risorsa, anche se la “scoperta” decisiva appartiene al patrizio veneziano Pietro Querini, che nel 1432 approda naufrago alle Lofoten, e nel suo diario descrive stupito la pesca degli “stocfisi” di cui lui e gli uomini superstiti si sarebbero nutriti per quattro mesi. Ancora oggi le isole norvegesi oltre il Circolo Polare Artico sono il principale centro di lavorazione dei merluzzi, decapitati, eviscerati , aperti a libro e appesi ad essiccare agli hjell, caratteristiche e altissime rastrelliere di tronchi. Tornando in patria, Querini inizia il commercio di quel la preziosa fonte proteica ad alta conservabilità, apprezzata anche dagli ecclesiastici riuniti per il Concilio di Trento. Economico e sempre disponibile, il baccalà diventa infatti risorsa primaria per gli oltre duecento giorni di digiuno stabiliti dai padri conciliari, ed è questo il motivo per cui, ancora oggi, i più forti consumatori sono Italia, Spagna e Portogallo, ovvero i tre paesi in cui più forte e temibile era la Santa Inquisizione, che vigilava severamente sull’osservanza dei precetti alimentari. Oggi molte cose sono drasticamente cambiate, causa estinzione dei merluzzi delle Grand Banks canadesi e del famigerato Cape Cod, capo merluzzo, appunto, conseguente a sconsiderato ipersfruttamento da parte dei pescherecci di ogni paese. Malgrado i tardivi provvedimenti di totale fermo pesca, tale catastrofe ecologica si è rivelata irreversibile, e il baccalà, specie in pezzatura grande, è sempre più raro e sempre meno a buon mercato. Pollock, haddock e altre specie affini alternative sono ormai la base del popolare “fish and chips” della tradizione anglosassone. All’Italia, che si mantiene particolarmente esigente in fatto di materia prima, appartiene il primato delle ricette tradizionali, e il baccalà è a tutt’oggi irrinunciabile caposaldo culinario dell’intero Triveneto e di molte città della nostra penisola, dallo “stocchefisce” genovese al baccalà alla vicentina, dallo spumoso mantecato veneziano al gustoso stoccafisso all’anconetana. Roma è celebre per la tipologia San Giovanni, il venerdì  acquistabile già ammollata e dissalata negli alimentari, ma anche Napoli e la Sicilia non sono da meno, tanto che le reggine Mammola e Cittanova sono rinomate per lo “stocco” dissalato e battuto in acque correnti purissime, con sagra in agosto. In ambito familiare, Venerdì santo e Vigilia di Natale restano le festività “comandate” più legate al consumo di baccalà.

"Pesce Veloce del Baltico"
dice il menù, che contorno ha?
"Torta di mais", e poi servono
polenta e baccalà…

(Paolo Conte, Album “900”, 1992)

© RIPRODUZIONE RISERVATA