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B come babà
Pubblicato il 25/05/2012
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“La superficie dorata, a balze, spugnosa, si era appena staccata dalla forma. Ricordava qualcosa a metà tra il turbante e la pagoda… Che rispondesse ai suoi desideri Stanislao lo capì subito. Ne saggiò l'elasticità al tatto, e si presentava soffice. Il senso di morbidezza e il profumo che emanava ne facevano un'assoluta novità. Anche senza averlo ancora assaggiato, sapeva di aver inventato un dolce che non aveva niente a che vedere con gli altri della sua terra e della sua epoca…” Così Fabrizio Mangoni immagina la creazione del babà, che dalla nativa Polonia approderà dapprima alla corte di Versailles e poi a Napoli. Stanislao non è altro che il re polacco Stanislas Leszczynski due volte spodestato, errabondo fra Vienna, Roma e Parigi, imprigionato dai Turchi e creato infine Granduca di Lorena da Luigi XV, che nel 1725 ne sposa la bella figlia Maria. Gourmet e appassionato di cucina, l’ex re amava ammorbidire il classico, ma piuttosto asciutto “kugelopf” austriaco con Madeira dolce e acqua di tanaceto, erbacea medicinale simile all’assenzio. Secondo alcuni, il nome sarebbe un omaggio all’oriente e ai racconti di Ali Babà, ma è assai più probabile la parentela con il tradizionale baba, senza accento, dolce slavo “della nonna”, in polacco “babka”. In una lettera del 1767a Sophie Volland,  Diderot cita il babà ormai famoso, che secondo il gastronomo letterato Grimod de la Reynière “il re di Polonia Stanislao Primo ha fatto conoscere in Francia”. Lo cita anche il grande Carême, col nome di “baba polonais”. Ma la definitiva codifica avviene nel 1835, quando il pasticcere parigino Stohrer, discendente del capocuoco già a servizio da re Stanislao, semplifica la ricetta originale, che prevedeva uvetta, cedro, angelica e zafferano, completandola con la bagna al Rum. Stohrer, “la più antica pasticceria di Francia”, tiene ancora oggi bottega al 52 di  Rue Montorgueil. A Napoli il babà arriva con Maria Carolina d’Asburgo, sposa di Ferdinando  IV di Borbone, che affida la cucina di corte ai “monzù” d’oltralpe. La prima citazione ufficiale come dolce tipico napoletano è del 1836, nel ricettario dell’Angeletti cuoco di Maria Luigia di Parma. Da allora, nelle versioni al Rum o al più moderno Limoncello, il babà è naturalizzato partenopeo, entrando in proverbio con l’espressione“ tu si ‘nu babbà”, il massimo dei complimenti quando si incontra una persona squisita e di gran cuore. Il segreto di un babà soffice sta nella triplice lievitazione, ed esige, come afferma Luciano Pignataro, “una profonda conoscenza dei tempi di lievitazione rapportati alla temperatura esterna e all’umidità presente nell’aria, proprio come la pizza.” E come la pizza, l’aristocratico babà divenuto napoletano si presta a un democratico consumo da passeggio, beandosi della spugnosa e cedevole morbidezza intrisa di speziati profumi caraibici o di effluvi agrumati della Costiera.

“’O babbà nasce polacco/ nuje l’avimme migliurate,/ ‘ca ce piaceno ‘nu sacco/ chisti dolce lievitate/ inzuppate arint’o rumme,/fatt’a form’e fungetiello./ Ih, che gusto, e che profumme!/ Né, babbà, quanto sì bello!

(dal sito www.baba.it)

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