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La luna, i falò e il Barbaresco
Pubblicato il 18/05/2012
Fotografia

Le Langhe rappresentano la fonte primaria da cui Cesare Pavese ha tratto non solo l’ispirazione ma il corpo, la sostanza e l’essenza stessa della propria opera. Le colline e i paesi langaroli, dove egli nacque all’inizio del Novecento e visse molta della sua breve vita, costituiscono lo scenario di quasi tutti i suoi scritti; in essi la storia dei personaggi si intreccia con la storia del luogo, l’una la fotografia dell’altra, in un gioco di concatenazioni e riflessi. Il mondo contadino e la dura vita nei campi ricorrono spesso nell’universo pavesiano, descritti come una realtà povera, ai limiti della sopravvivenza, lontana anni luce dalla prosperità attuale. Ne “La luna e i falò”, che si svolge tra i comuni di Santo Stefano Belbo e Canelli alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Pavese da una parte si compiace nel tratteggiare le belle colline di Gaminella e del Salto tappezzate di filari, paragonando la vigna ben lavorata a un corpo vivente, ma dall’altra, quando rievoca i momenti della vendemmia, non può fare a meno di stigmatizzare come al lavoro estenuante di tanti mezzadri corrisponda il profitto di pochi proprietari. 

In seguito al fiorire dell’attività enologica in tutto l’areale, molte cantine hanno dedicato a Pavese un vino o un’intera selezione: Terredavino ha chiamato il Barbera d’Asti della casa “La luna e i falò” mentre la tenuta ValleBelbo ha nominato le etichette della linea top “Cesare Pavese”; ma forse il vino che meglio incarna lo spirito delle Langhe, facendo onore allo scrittore che le ha scolpite nelle sue pagine, è il Barbaresco di Albino Rocca, Vigneto Brich Ronchi, vendemmia 2005.

Prodotto col Nebbiolo di uno dei migliori cru aziendali, dove le vigne più giovani risalgono a 50 anni fa, questo Barbaresco deriva i suoi pregi dal terreno calcareo-argilloso, dal soddisfacente andamento climatico dell’annata e dal lungo invecchiamento cui è sottoposto, esce infatti in commercio non prima di 46 mesi trascorsi in botti di rovere tedesco e austriaco da 20 ettolitri. All’occhio appare di un rosso cremisi terso e luminoso che anticipa un plafond aromatico incredibilmente ampio ed estroflesso. Già a calice fermo affiorano petali di fiori rossi appassiti e gelèe di more misti a terra umida e tostatura di caffè; alla prima rotazione deflagrano quindi cannella, noce moscata, liquirizia, polvere di cacao e corteccia di pino. Nel palato opulenza e rigore stilistico vanno a braccetto, rivelando un vino cui non difetta nulla: pulizia, calore calibrato ma avvolgente, capace di soffondersi nel palato senza aggredirlo, e ancora tannini finissimi e un finale senza tempo.

Certamente in grado di reggere il confronto con brasati e stracotti elaborati, questo nobile rosso dà il meglio di sé in abbinamento con uno dei piatti più caratteristici della tradizione culinaria locale, il bollito, preparato con carni di diversa origine e pezzatura. Interessante e senz’altro vincente è la combinazione del vino con le salse usate per accompagnare questa pietanza: il “bagnet verd”, un trito di prezzemolo, pane intinto nell'aceto, uova sode e olio d’oliva, e la “cugnà”, una mostarda a base di uva, preferibilmente Nebbiolo, mele cotogne e pere Martin Sec.

Albino Rocca
Strada Ronchi, 18
12050 Barbaresco (Cn)
Tel. 0173 635145
www.albinorocca.com
roccaalbino@roccaalbino.com

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