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A come arancine
Pubblicato il 11/05/2012
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Materia prima di base è il riso, introdotto dagli Arabi in Sicilia attorno all’anno Mille, sfruttando i territori già abbondantissimi di acque della piana di Catania, col Simeto e affluenti, il bacino idrografico del Salso nell’ennese, i territori di Biscari e di Vittoria, la valle del Belice e la piana di Ribera, dove sfociano il Platani e il Verdura. Il riso è a tutt’oggi molto utilizzato nella cucina siciliana classica, vedi il risotto agli asparagi e i “badduzzi” (palline di riso) in brodo del Catanese e di Acireale. Il nome arancina (unica forma filologicamente corretta secondo lo scrittore Gaetano Basile) è in uso a Palermo e nel Trapanese, ma nel resto dell’isola tende a prevalere la più generica forma al maschile arancini (“arancinu”). L’aspetto della pietanza, infatti, per forma e colore, è proprio quello di un’arancia, anche se si tratta di una assai più sostanziosa palla di riso fritta, del diametro di 8-10 cm, farcita con ragù, mozzarella e piselli.

Specie nella parte orientale dell’isola, gli arancini possono a volte assumere forma conica. Non mancano mai in un pranzo solenne, ma sono anche cibo di strada. Il 13 dicembre, festa di Santa Lucia, tradizione vuole che i palermitani  si astengano dal consumo di pasta e pane, sostituendoli con la cuccìa (grano bollito dolce) e arancine di ogni tipo, forma e dimensione. I più tradizionali sono tuttavia quelli al ragù di carne, quello al burro (con mozzarella, prosciutto e, a volte, besciamella) e quelli agli spinaci (anch’essi con mozzarella). A Palermo e Catania si usa molto lo zafferano per rendere dorato il riso, piuttosto compatto e nettamente separato dalla farcitura, contrariamente all’uso del Messinese, ove si sposano sugo di pomodoro e zafferano. Mentre riso e zafferano sono di netta matrice araba, il ragù ricorda la cucina dei monsù di Francia, il pomodoro è di ascendenza spagnola, e il canestrato fresco è di origine greca e mediterranea. Nel romanzo “I Vicerè”, di De Roberto, si parla dell’antico convento di San Domenico di Catania, e dei suoi mitici arancini grandi come meloni. Ancor più celebre la raccolta di racconti “Gli Arancini di Montalbano”, di Andrea Camilleri, in cui il popolare commissario-buongustaio non vede l’ora di gustarsi  il suo piatto preferito, preparato dalla “cammarera” Adelina, e anziché passare il Capodanno colla fidanzata, sceglie di rimanere a Vigàta, ove un complesso intrico di vicende rischia di mandare a monte la sua passione culinaria. 

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