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1945: un’ottima annata
Pubblicato il 27/04/2012
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Dall’età nella quale ho ricevuto il barlume della ragione e il dono della memoria, non c’è 25 aprile nel quale non riesca a dedicare anche un solo minuto di riflessione alla terra che prima di darmi i natali era stata teatro e crocevia di alcuni tra i più cruenti episodi della guerra, fatti di battaglie, rastrellamenti, cecchinaggi, eroismi.

La campagna piemontese e le Langhe erano lontani dal benessere odierno. Il vino era l’alimento quotidiano, ben lungi dal costituire una fonte di ricchezza e dall’essere il volano che ha portato una delle zone più misere del Belpaese a divenirne area con redditi procapite tra i più elevati. Le Langhe, il Roero e il Monferrato erano il “Mondo dei Vinti” di Nuto Revelli e della Malora di Fenoglio, zone povere e martoriate, pervase di poetica aura crepuscolare, archetipi dell’Italia contadina depressa e vilipesa. Tra il 24 e il 25 aprile 1945 tra i filari dei Ronchi, dei Bric, dei Sorì e delle Rocche fischiavano le pallottole sospinte dall’onda lunga della rivolta cuneese che aveva dato il via alla definitiva spallata inflitta agli ultimi rigurgiti dell’oppressore. Tra le pallottole e tra i filari si muoveva il ragazzo Bartolo Mascarello, che difese quelle vigne e continuò a difenderle nei decenni successivi da altri e più moderni avversari, strenuo paladino del carattere e della tradizione langaroli. Le colline che da 5 anni non conoscevano feste né sorrisi erano la casa naturale del comandane Mauri e dei suoi partigiani, gente alpina che il vino di quelle parti lo amava, eccome se lo amava. Molti di essi non seppero mai come sarebbe andata la vendemmia del settembre ’45, perché tra quei filari trovarono il sonno eterno, immolandosi nell’ultima battaglia. Fu, dopo 5 anni, la prima vendemmia nella quale le lacrime di gioiosa commozione presero il posto dei pianti di rabbia e di dolore, e dove si poteva finalmente tornare a ballare nei tini e a bere il primo vino cercando l’ebbrezza non più per stordirsi ma per favorire il sorriso. In una casa semplice si festeggiava la nascita di un bimbo che oggi è il sindaco di Barolo.

Fu una grande vendemmia, una stagione felice del vino dopo tanti anni bui: Borgogno, Conterno e gli altri grandi “padri” realizzarono delle perle oggi ancora fruibili, e anche il vino “normale”, quello da mettere nelle damigiane per “tutti i giorni” era, o forse tutti desideravano ardentemente che fosse, molto più buono di sempre.

Con la sua capacità di viaggiare nel tempo, il vino può essere molto più che fruttato, floreale o speziato: egli è testimone silenzioso di fatti e ispiratore della mente al pari delle opere d’arte e delle iscrizioni lapidarie.

Nei giorni della Memoria, la grandezza del vino è anche questa.

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