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A come abbacchio
Pubblicato il 13/04/2012
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Un must irrinunciabile per i romani nel periodo pasquale, una barbara e consumistica strage degli innocenti per vegani e vegetariani. Secondo il vocabolario romanesco di Filippo Chiappini “si chiama abbacchio il figlio della pecora ancora lattante o da poco slattato; agnello, invece, il figlio della pecora presso a raggiungere un anno di età e già due volte tosato”. Sono diverse le ipotesi sull’etimologia del nome: secondo alcuni, dal latino avecula o ovecula, diminutivo di ovis. Oppure dall’espressione ad baculum, "vicino al bastone", per l’uso di legare a un paletto l'agnello non ancora svezzato, in modo da costringere la madre a rimanere nei pressi per allattarlo. Ma il nome potrebbe derivare anche dal verbo bacchiare o abbacchiare, e cioè abbattere, stordire con un bastone, secondo l’uso dei pastori, prima di conficcare il coltello nella giugulare. Nell'agro romano in occasione dell'abbacchiatura e della carosa (tosatura), i pastori preparavano pietanze come la coratella (cuore, fegato e polmoni a pezzetti) o la pagliatella, intestino di abbacchio cotto alla brace.  Il consumo più alto si registrava tra Pasqua e Giugno, durante la cosiddetta agnellatura, ovvero la macellazione dei capi da uno a sei mesi di età. Per decreto papale, in tutta la Campagna Romana era vietato il pascolo da Sant'Angelo di maggio (3 maggio) a Sant'Angelo di settembre (29 settembre), periodo in cui le greggi si trasferivano sui freschi pascoli appenninici dai Sibillini alla Ciociaria. L'agnello di razza Sarda, Comisana, Sopravvissana, Massese, Merinizzata e relativi incroci atto a diventare Abbacchio Romano Igp, si riconosce dalla fascetta identificativa apposta all'orecchio sinistro. La macellazione deve avvenire a un mese di vita e fino a 7 chili di peso (media 4-6 kg). Il disciplinare è particolarmente vincolante sul benessere degli animali e sui fattori naturali, che consentono alle pecore madri “di utilizzare i prati naturali e i prati-pascolo, in modo da conferire particolari qualità al latte destinato all'alimentazione degli agnelli e, di conseguenza, alla carne, determinando un sinergismo eccezionalmente favorevole oltre che per la qualità anche per l'omogeneità dei suoi caratteri”. I vari tagli della carne confezionata devono recare obbligatoriamente la scritta «Abbacchio Romano» in colore giallo-rosso, con logo Igp ovale all’interno di un quadrato tricolore. In assenza di tale certificazione, la carne dichiarata ovina o genericamente agnello può essere anche agnellone o castrato, corrispondente però a esemplari di età molto superiore, e quindi di minor pregio. Tra le ricette romanesche classiche, citiamo lo spezzato di abbacchio brodettato, il cosciotto al forno con le patate, le costolette timo e rosmarino a scottadito, la cacciatora con le ramolacce, la testina al forno o in tegame. Chiedono rossi di corpo, non troppo evoluti, con profumi balsamici e di macchia, come Cesanese del Piglio Docg e Cabernet di Atina; fuori regione, sposano volentieri Montepulciano d’Abruzzo, Tintilia del Molise, Aglianico del Vulture, Cirò.

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