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Si fa presto a dire Pachino…
Dal nostro corrispondente ad Aruba una riflessione sul pomodoro della discordia
Pubblicato il 28/02/2018
FotografiaNelle settimane scorse, sui più disparati media italiani, è andato in scena un ben orchestrato piagnisteo che ha come protagonisti i produttori di pomodori di Pachino. Lamentano di essere vittime delle imitazioni a basso costo importate selvaggiamente da ogni parte del mondo. 
In tutto il mondo, quelli che il consumatore conosce come “pomodori Pachino” si chiamano “cherry tomatoes” o semplicemnte “cherry”. In Usa ed anche qui ad Aruba sono sul mercato a prezzi proibitivi che i lamentosi produttori di Pachino nemmeno si sognano e provengono prevalentemente da California, Messico, Colombia e (udite! udite!) Olanda.
Il piagnisteo, che ha come unica finalità quella di ottenere qualche aiuto di Stato, basa la sua credibilità su un equivoco lessicale che andrebbe una volta per tutte portato alla luce. A livello popolare tutti credono che il “pomodoro Pachino” sia quello sferico e piccolo, turgido e gustoso. In realtà, la parola “Pachino” (cui nel 2003 fu riconosciuta la IGP) indica solamente una provenienza di produzione e non una tipologia di pomodoro. Se andiamo a leggere il disciplinare facciamo una bella scoperta, ovvero che la denominazione riguarda 
Frutti allo stato fresco, riferibili alla specie botanica «Lycopersicum esclulentum Mill», delle seguenti tipologie: - tondo liscio; - costoluto; - cherry (o ciliegino)”.
Avete letto bene: qualunque di queste tre tipologie può essere venduta utilizzando la denominazione “Pomodoro di Pachino”. Cosa è successo nel lontano 2003? Semplicemente che i produttori di Pachino (sono i produttori a proporre il disciplinare) hanno pensato di “fare i furbi” e di allargare la base produttiva associando alla varietà “cherry”, in Italia da tutti conosciuta come tipica di Pachino, anche altre due banali varietà quali il tondo liscio, uno dei pomodori più diffusi in qualunque area di produzione, ed il “costoluto”, fino a quel tempo principe degli impieghi a crudo in ogni cucina italiana. E ringraziamo Dio che non ci hanno infilato anche il roma ed il sanmarzano!
Avevano una identità e per ingordigia l’hanno persa. E adesso piangono. Ma piangono all’italiana, secondo il dettato “chiagnere e fottere”. Solo che questa volta non riescono a “fottere”. Non gli resta che “chiagnere”.
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