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La favola del vino
Un altro divertente capitolo, un’altra acuta osservazione dal nostro corrispondente.
Pubblicato il 21/06/2017
FotografiaQui ad Aruba una bottiglia di Champagne Moet & Chandon Brut Imperial costa l’equivalente di 31 Euro. 
Negli Stati Uniti lo si trova all’equivalente di 37 Euro. In Italia intorno ai 39/40 Euro. Lo stesse discrepanze valgono per Veuve Cliquot (ad Aruba 34 Euro). 
Se, sullo stesso scaffale, spostiamo lo sguardo sul Prosecco, troviamo marche di fantasia (imbevibili) con il nome del produttore mascherato dietro una sigla, a non meno di 10 Euro e le etichette più conosciute e accreditate tra i 15 ed i 25 Euro. Lo stesso, e anche peggio, accade a New York.  
La domanda che sorge spontanea è la seguente: ma perché un vino che parte dall’Europa, sale su una nave, attraversa l’Oceano, paga le tasse doganali ed il lavoro dell’importatore/distributore del paese di destinazione, se è francese costa come o meno che in Europa ed invece, se è italiano, costa dal 50% al 100% in più che a casa nostra?
La risposta me la dà una frase che mi ronza nel cervello da quando mi occupo di vino e che ho sentito pronunciare dalla maggior parte dei produttori desiderosi di mercati esteri con cui mi sono relazionato in oltre 40 anni: “Speriamo di trovare un buon importatore…” E “buon importatore” vuole irrimediabilmente dire “uno che venga qui a scoprirmi (o al massimo al VinItaly), si innamori del mio vino, faccia tutte le pratiche per poterlo importare nel suo paese, si inventi una storia accattivante, si metta a battere il marciapiede e mi invii gli ordini con regolarità”.
C’è gente che rincorrendo questa fenice ha cambiato cinque importatori in cinque anni. Ad altri, molto pochi ed in tempi remoti, invece, è accaduto. In entrambi i casi, però, della grande differenza di prezzo della bottiglia tra mercato interno e mercato estero, nelle loro tasche non è entrato nemmeno un centesimo.
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