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F come Ferratelle
Pubblicato il 20/05/2016
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Ferratelle o anche Cancellate, Pizzelle, Catarrette e Neole, a seconda delle zone d’Abruzzo (e di qualche località limitrofa del Lazio come Cittaducale), la regione dove è maggiormente diffuso questo dolce, appartenente alla numerosa famiglia delle Cialde.

Nomi diversi per un identico tipo di dolce a pasta biscottata, caratteristicamente forgiato con uno stampo in ferro arroventato (lu Ferre), a base di pochi, semplicissimi ingredienti: uova, olio extravergine, farina, zucchero e buccia di limone grattugiata, con l’optional di un pizzico di lievito in polvere. Una variante più croccante si ottiene con un goccio in più di olio e con più farina, almeno quanta ne assorbe l’impasto, che sarà più denso e consistente. Tempistiche di cottura secondo tradizione, il tempo di recitare un’ “Ave Maria” per il primo lato e un “Pater Nostro” per l’altro. Ottime al naturale, le Ferratelle si prestano bene all’accompagnamento con marmellata, miele, panna montata, crema pasticcera e ganache al cioccolato, “catturati” dalla trama a rombi. Tradizionale l’abbinamento con la “ragnata”, confettura d’uva. Numerose le varianti, sia di forma e consistenza (rotonde o a cuore, e dal morbido al croccante), che di ingredienti aromatizzanti, dalla cannella al mistrà, talvolta anche mosto cotto. Le cialde morbide si possono anche piegare a cono. Sovrapponendo due cialde, la Ferratella prende il nome di “Coperchiola”, con ripieno all’interno.
E’ subito evidente la somiglianza con analoghe preparazioni, in particolare con le popolarissime Gaufres del Belgio. Qual è la spiegazione? Di sicuro l’Abruzzo è culla storica di questa specialità, tanto che già alla fine del Settecento “lu ferre” indispensabile per prepararla era spesso inventariato tra i beni recati in dote dalle spose, immancabilmente contrassegnato dalle iniziali o dallo stemma del casato se la famiglia era nobile o agiata. Le Ferratelle erano, un tempo, dolci delle feste o delle ricorrenze speciali, mentre oggi si preparano tutto l'anno. La rapidità della preparazione espresso e la praticità e piacevolezza del consumo immediato ne fanno un tipico spuntino veloce da passeggio in occasione di feste e sagre, come quella di mezz’agosto (Sagra della Nivola) a Sorbo di Tagliacozzo, in provincia dell’Aquila.

Un po’ come le comunità abruzzesi che ritroviamo dagli Stati Uniti all’Australia, le Ferratelle contano numerosi “cugini” ai quattro angoli del pianeta. Sostanzialmente identici sono le Gaufres o Waffles serviti caldi da ambulanti su caratteristici camioncini colorati, che stazionano presso i giardini e nelle piazze di città europee come Liegi e Colonia, vero e proprio street food oramai diffuso e imitato in molte parti del mondo. I Belgi in particolare ne sono consumatori accaniti, sia a Bruxelles, ove le cialde rettangolari, grandi come una carta da gioco, si servono con crema o gelato, sia a Liegi, ove sono più friabili e zuccherate, spesso consumate al naturale.

Oltreconfine, la preparazione si ritrova a Gouda, in Olanda, ove gli Stroopwafels di forma circolare si servono con burro lavorato a crema con zucchero di canna, sciroppo d'acero e cannella. Nelle isole britanniche e in Scandinavia, prevalgono le versioni salate, in accompagnamento a formaggi tipici, pesce, salsicce e verdure, tipicamente in occasione di feste come lo svedese Vaffeldagen (giorno dei waffel), celebrativo dell’ l'Annunciazione, il 25 di marzo. Decisamente dolci sono invece i Bergisch Waffeln tedeschi, sottili, croccanti e cuoriformi, tipicamente serviti con panna e ciliegie calde. Ma non mancano preparazioni analoghe entro i confini nazionali.
Nell’Alta Val Chisone, ad esempio, antica zona di mercati e baratti a un’ottantina di  Km da Torino, si preparano i Gofri, cialde grandi e rotonde, sia dolci che salate, che ricordano parecchio le Galettes bretoni.

Comune denominatore per tutte queste specialità è lo speciale attrezzo per prepararle, un “ferro”con manico a doppia piastra incernierata, forgiato a rilievo, con tipica trama a rombi o a cancello. Già fra tardo medioevo e Rinascimento la lavorazione del ferro era assai progredita, dando vita a nuovi e più funzionali utensili che trovavano applicazione in diversi campi, dall’agricoltura alle attività belliche. Con stampi in ferro si preparavano anche le ostie per l’Eucarestia.

E questa l’epoca d’oro del ferro battuto. Sono tante le località abruzzesi che ospitano castelli, conventi, palazzi nobili e opere pubbliche abbelliti dal paziente lavoro di una schiera di artigiani esperti nella lavorazione del ferro. Ovunque, cancellate, alari e parafuoco da camino, battenti dei portoni, balaustre, ringhiere e lampioni adornano e impreziosiscono gli insediamenti umani, perfino nei borghi più sperduti, arroccati tra le montagne.




Si veda, per fare un esempio tra i più noti, il Gran Cancello
della Cappella del Sacramento nella Basilica di Santa Maria del Colle a Pescocostanzo, fulgida testimonianza dell’altissima specializzazione raggiunta nel settore della lavorazione del ferro, che fino a tempi recenti i minatori estraevano dalle profondità  della Majella, in località come Guardiagrele o Lettomanoppello. Discorso analogo per il Belgio, ove il particolare metodo di lavorazione del ferro vallone viene introdotto da Louis De Geer in Svezia nel Seicento. Alla fine del Settecento la rivoluzione industriale vede al primo posto l’Inghilterra, seguita a ruota dalla regione Vallone. E in Piemonte ? Basti pensare alla Savoia, alle sue miniere e all’antica arte di lavorazione del ferro battuto per spiegare perché regioni apparentemente così distanti siano accomunate da specialità gastronomiche affini alle nostre Ferratelle, figlie, appunto, del ferro, come vuole l’etimologia.

                                                                                                                                                                                                                                                                

 

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