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F come Fave
Pubblicato il 13/05/2016
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Come non c’è Pasqua senza uova, così non può esserci Primo Maggio senza Fave, almeno a Roma e nel Lazio. Dopo la pausa invernale, numerose località come Nazzano o Nerola celebrano il Maggetto (così è familiarmente detta la ricorrenza) con sagre a tema, che abbinano alle Fave il Pecorino, come vuole l’usanza tradizionale. La Festa del Lavoro e dei Lavoratori, infatti, coincide con l’inizio della bella stagione e delle lavorazioni agricole. Nella campagna romana, le Fave sanciscono ufficialmente l’inizio della primavera e dei nuovi raccolti, rivestendo un ruolo beneaugurale, simbolicamente accostate al Pecorino fresco, colla “lacrima”, profumato di pascolo verdeggiante. Per i romani, la scampagnata del Primo Maggio è da sempre rito irrinunciabile che ancora oggi si ripete, nonostante si sia perduta l’originale connotazione popolare che animava le osterie “fuori porta”, meta di “fagottari” che portavano da casa il cibo da consumare in famiglia, mentre l’oste provvedeva al vino.

Fave, Pecorino e Pane di Genzano si accompagnavano, caratteristicamente, a una spumeggiante “Romanella”, un rosso beverino e senza pretese che l’oste provvedeva a imbottigliare quando ancora la fermentazione non si era esaurita. Se poi il tempo era bello, le comitive di gitanti affollavano i prati, e la merenda si consumava allegramente all’aperto, magari accanto a un fontanile o a sorgenti di acqua “acetosa” come se ne trovano sui Castelli o ai Pratoni del Vivaro. Già nella Roma antica le Fave si coltivavano non solo per uso alimentare, ma anche per la pratica agricola del sovescio, necessaria per arricchire di sostanze azotate i terreni sottoposti a rotazione avvicendata, classicamente come coltura miglioratrice tra due frumenti. Centro di origine della pianta, domesticata fin dal quinto millennio a.C. è, secondo ogni probabilità, l’Oriente mediterraneo, con irradiazione da un lato verso Anatolia, Grecia e penisola italica, e dall’altro verso area nilotica, Abissinia e Mesopotamia fino all’India.  Oggi le Fave sono coltivate in tutto il mondo, in particolare in Asia, dove si localizza il 60% delle colture, seguita da Africa ed Europa, mentre è trascurabile la diffusione nelle Americhe  e in Oceania.
La pianta, con fusto eretto e grosso, a sezione quadrangolare e radice fittonante, si adatta bene a diverse condizioni climatiche, ma predilige il clima temperato marittimo, ove prospera su terreni di medio impasto, argilloso-calcarei, non siccitosi. Particolarmente adatte risultano dunque le nostre regioni centro-meridionali e insulari, Sicilia in particolare. Dal punto di vista botanico, le fave appartengono alla famiglia delle Fabaceae, distinte in numerose varietà, catalogate principalmente in base alle dimensioni del seme.  

Vicia faba major a semi particolarmente grossi e teneri, contenuti in un baccello pendulo di forma appiattita, lungo 15–25 cm. E’ questa la varietà da consumo fresco.

Vicia faba minor, detta comunemente favino, con baccello clavato e corto. solitamente utilizzata come foraggio o sovescio

Vicia faba equina, detta comunemente favetta, con baccello piuttosto allungato e semi coriacei, è utilizzata come foraggera

Vicia faba paugyuga a semi piccoli, diffusa soprattutto nel subcontinente indiano.

Curioso che nell’antichità siano stati attribuiti alle Fave tanti significati nefasti. I Greci, ad esempio, le ricollegavano all’Ade, per via del fiore bianco con macchie nere a forma di Tau (iniziale di   Tanatos, morte), e dei gambi cavi che le anime dei defunti si credeva potessero ripercorrere dall'aldilà. Pitagora in persona sembra sostenere tale credenza, raccomandando di astenersi in ogni modo dal consumo e finanche dal contatto con le Fave. Nei moderni stili alimentari, tuttavia, spetta alle Fave un ruolo di primo piano, e sarebbe un vero peccato non approfittare della breve stagione (da inizio Aprile fino a Maggio) in cui questi legumi si mantengono dolci e delicati, prestandosi al consumo fresco. Il basso apporto calorico, circa 70 calorie per cento grammi, rende le Fave particolarmente adatte alle diete ipocaloriche. L’acqua (85 %) e le fibre, contenuti prevalenti, favoriscono sia la diuresi sia la motilità intestinale, seguono proteine (5% ) e carboidrati (4,5%), mentre irrilevanti sono i grassi (0,4%). Elevato il contenuto di ferro, potassio, magnesio, rame e selenio, a cui si aggiunge un buon patrimonio di vitamine, soprattutto acido ascorbico. Le Fave contengono L-dopa, precursore di alcune sostanze presenti nel cervello, come epinefrina e dopamina, quest’ultima preziosa alleata per una ottimale motilità corporea, risultando inoltre importante fonte vegetale di acido folico e vitamine del gruppo B, fondamentali per il metabolismo, la buona funzionalità del sistema nervoso e la sintesi del DNA e dell'RNA. Attenzione, però, al rovescio della medaglia che rende proibitivo il consumo di Fave fresche (la cottura riduce i rischi) per taluni soggetti sensibili e predisposti a reazioni allergiche capaci di indurre addirittura il coma. Gravissima controindicazione è il cosiddetto favismo, patologia ereditaria da carenza di enzima G6PD, per cui il consumo o anche solo il contatto con le Fave può sfociare in emolisi acuta con ittero. Tale patologia risulta frequente (fino al 20-25%) in determinate aree già intensamente malariche, come Sardegna, Delta del Po, Grecia, ma anche zone del sud est asiatico e Africa Bantu, indotta da mutazione genetica conseguente alla necessità di adattarsi all’ambiente malsano. Inoltre, le Fave contengono acido ossalico, sostanza che può dar vita, in alcuni casi, a calcoli di ossalato. Dunque, gli individui che sono predisposti ai calcoli urinari, dovrebbero limitarne il consumo. Come tutti i legumi, le Fave presentano il vantaggio di poter essere conservate a lungo dopo la raccolta. Ma a differenza di fagioli, lenticchie e affini, si possono anche consumare a crudo, profittando al massimo sia del sapore, sia delle proprietà nutritive, non intaccate da conservazione o processi di cottura.
Le Fave essiccate costituiscono una riserva sempre pronta per l’elaborazione di alcune pietanze regionali tipiche, come il Macco di fave, in siciliano Màccu di favi, inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf). Lessate in acqua aromatizzata col finocchietto fresco, le Fave secche vengono ridotte a purea e abbinate a verdura fresca, solitamente bietole, irrorando il tutto di un buon extravergine, preferibilmente da Nocellara del Belice. Piatto povero di antichissima origine, è reperibile in tutta l’isola, con epicentro nella provincia di Agrigento, in particolare nel comune di Raffadali. Il Catanese è invece la provincia di riferimento della Pasta co' maccu, pietanza rituale della festa di San Giuseppe (19 marzo) a Ramacca, provincia di Catania. Nella provincia di Ragusa si distingue il Macco di Fave secche dal più delicato Maccu di faviane verdi, pietanza primaverile che utilizza invece le Fave fresche appena sgusciate. Un’altra regione contende alla Sicilia il primato per la pietanza più gustosa a base di Fave, la Puglia.

La ’Ncapriata pugliese è creazione geniale, in cui la dolcezza delle Fave, anche qui ridotte a purea dopo lunga cottura nel Pgnatidd di terracotta, mitiga l’amarognolo della cicorietta di campo, preferibilmente quella selvatica della Murgia, che cresce spontanea tra le rocce e i rilievi calcarei del territorio. I due ingredienti, entrambi battezzati coll’extravergine locale, vanno alternati senza mescolare, accompagnando con Pane di Altamura. Un piatto simile sembra discendere in linea diretta da quello citato nel 450 a.C. nella commedia Le Rane di Aristofane, in cui si afferma che Ercole, dopo aver mangiato Fave ed erbe selvatiche, affrontò una “fatica” amorosa di notevole impegno: “far cambiare di stato a più di diecimila vergini”. Sia fondata o meno la fama afrodisiaca del piatto, le Fave fanno parte da sempre dell’alimentazione dei pugliesi. A Carpino, nel Foggiano, si produce una varietà considerata tra le migliori della Penisola, mentre è leccese la Fava di Zollino, ricercata cultivar ancora raccolta e trebbiata a mano sulle vecchie aie, protagonista di pietanze tipiche quali Fave e foje e Fave a cecamariti.  

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