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F come Finocchio
Pubblicato il 22/04/2016
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Originario del vicino oriente, il Finocchio (Foeniculum vulgare, nella classificazione di Linneo) è da secoli acclimatato in tutto l’areale mediterraneo, ed è oggi coltivato a fini alimentari in tutte le zone temperate, con predilezione per i terreni profondi, fertili e ben drenati. La famiglia vegetale è quella delle Ombrellifere, con periodo di fioritura molto scalare tra giugno e agosto e maturazione dei semi nell’arco del mese di settembre, anche se, con l’introduzione di nuove varietà ibride, il Finocchio risulta oramai presente sul mercato in tutti i dodici mesi dell’anno, proveniente da diverse zone di produzione. Sotto il profilo merceologico si usa comunque distinguere tre varietà botaniche di Foeniculum:

  • azoricum: finocchio da grumolo;
  • dulce: finocchio da seme;
  • vulgare : finocchio selvatico.

Il primo di essi è appunto il ben noto ortaggio globoso, di colore bianco con foglioline verdi reperibile sul banco dell’ortolano; tecnicamente, non un frutto vero e proprio come molti pensano, ma piuttosto un grumolo di foglie ispessite, ingrossate e sbianchite con particolare tecnica di coltivazione. Il suddetto grumolo può essere largo fino a 15 cm e pesare, secondo le varietà e lo stadio di raccolta, da 250 a 600 g. Dal punto di vista organolettico, il Finocchio coltivato differisce da quello spontaneo per il sapore zuccherino, gradevole e meno pungente e per l'enorme sviluppo delle guaine fogliari che assumono consistenza carnosa. Nei terreni sassosi e soleggiati prospicienti il mare si incontrano invece di frequente le varietà selvatiche originarie, apprezzate fin dall'antichità per le proprietà officinali e l'aroma dei semi e delle foglie, ampiamente utilizzati, ieri come oggi, in gastronomia e in erboristica (il principio attivo principale è il trans-anetolo).

Un simile habitat è visibile ancor oggi a una quarantina di chilometri a nord di Atene, nella località nota come Maratona ove duemilacinquecento anni fa gli opliti ateniesi fermarono il potente esercito persiano. “Marathon”, in greco antico, era appunto il nome del finocchietto selvatico, che qui cresceva spontaneo ovunque. Una curiosità: ha la stessa origine il toponimo Funchal, nell’isola di Madera, appellativo dato dai primi coloni su Madeira a causa dell'abbondanza di finocchietto selvatico, in portoghese funcho. Fin dalla prima età classica,comunque, si attribuivano alla pianta molteplici virtù terapeutiche e rigeneranti: Plinio racconta ad esempio che i serpenti usano rimpiattarsi tra i finocchi selvatici dopo aver mutato pelle, alimentando la credenza popolare che il Finocchio avesse il potere di immunizzare  contro il veleno dei rettili. Sempre secondo Plinio, la pianta era benefica per la vista, la vigoria sessuale e, in genere, la forma fisica, tanto che nell’antica Roma ne facevano uso i gladiatori per accrescere vigore e coraggio, ma anche le puerpere e le balie, che ne apprezzavano le virtù galattogene (maggior produzione di latte) vantate nei trattati medici di Dioscoride e Galeno. La buona fama del Finocchio continua anche in età medievale: Carlo Magno ne decreta la presenza negli orti imperiali e ne incoraggia la coltivazione per le molteplici virtù salutistiche, confermate in buona parte dall’erboristica moderna (azione digestiva, diuretica, disintossicante, spasmolitica e antifermentativa). Nel Duecento la Scuola Medica Salernitana ne raccomanda l’uso come enolito (vino-medicinale arricchito coi principi officinali del finocchietto selvatico): “Semen cum vino sumptum Veneris moves actus, atque senes eius gustu juvenescere dicunt” (bevuto col vino eccita i piaceri di Venere e si dice che ridesti negli anziani il vigore giovanile). Sempre all’età medievale risale l’usanza di impiegare i semi del Finocchio per aromatizzare carni o salumi tipici come la Finocchiona. Alla stessa epoca pare risalga lo stratagemma del Finocchio offerto agli avventori delle taverne per mascherare lo spunto acetico e la scarsa qualità  del vino servito, da cui la proverbiale espressione “infinocchiare”, col significato di “imbrogliare”, “trarre in inganno confondendo”.

Le fonti autorizzano a ritenere che la coltivazione del Finocchio abbia avuto inizio proprio nella nostra penisola, verosimilmente nella Toscana medicea. A tutt’oggi, in effetti, l'Italia è leader mondiale con 17.000 ettari in produzione, che forniscono un quantitativo pari a circa 370.000 tonnellate. L'export ammonta a circa 25.000 tonnellate di prodotto di alta qualità, particolarmente apprezzato in Francia e Nord Europa. Tra i produttori UE, seguono Spagna (15.000 t), Francia (8.000 t), Olanda (5.000 t) e Germania (2.000 t). Originario dei paesi caldi, il Finocchio presenta una scarsa resistenza a gelate e climi troppo rigidi, perciò le regioni più favorite sono quelle del nostro centro-sud, Puglia in primis (ove si concentra circa un terzo del raccolto nazionale), seguita da Campania (18% della produzione), Lazio (11%), Sicilia e Marche (entrambe al 9%), Abruzzo (5%) e Calabria (4,5%). Diverse cultivar, inoltre, debbono il nome a specifici areali di provenienza, quali il Grossissimo di Napoli, Romanesco, Marchigiano, di Firenze, Tondo pugliese o di Barletta, Tondo di Sicilia ecc. La coltura ha ciclo primaverile-autunnale nel Fucino ed autunno-primaverile al sud (Campania, Puglia, Molise, Basilicata, e Calabria) con ciclo variabile a seconda che le varietà siano precoci (70-80 giorni dal trapianto), medie (90-120 giorni) o medio-tardive (fino a 200 giorni), con notevoli densità di impianto (da 60.000 a 70.000 piantine per ettaro, con punte massime di 90.000). Di notevole importanza risulta la programmazione delle rotazioni, solitamente in forma biennale, magari in alternanza con colture cerealicole o orticole, come patate e piselli. Per il suo modesto valore energetico (10-15 cal/100 g di parte edule) e le scarse proprietà alimentari (93 % di acqua, 0,5-0,7 di fibra, vitamine A e C), il Finocchio è ingrediente di primaria importanza nelle diete ipocaloriche. I finocchi più adatti per il consumo a crudo(pinzimonio o insalata) sono i cosiddetti “maschi” tondi e croccanti, mentre le “femmine”di forma allungata un poco più fibrosi danno il meglio di sé in cucina, preparati in vari modi, tutti molto appetitosi:  semplicemente lessati e conditi, fritti, alla parmigiana o in gratin con besciamella. Altrettanto preziosi e versatili sono i semi, utilizzati comunemente per aromatizzare un ampio ventaglio di cibi, dal pane di segale ai salumi, e dalle olive fino ai fichi secchi, per non parlare della liquoristica, che li utilizza per particolari liquori come centerbe e assenzio. In cottura si sposano bene a carni dal gusto pronunciato, quali agnello, maiale e selvaggina, senza escludere alcune tipologie di pesce. A sfatare il luogo comune che il Finocchio metta in crisi ogni tentativo di abbinamento col vino provate, su un’insalata di Finocchi e arance pelate a vivo, con olive nere e finocchiella, il Pensiero in Rosa, Aglianico rosato prodotto a Venosa di Puglia da Franco Bonifacio, avvolgente, sensuale e morbido quanto basta, circonfuso di profumi mediterranei, lungo e sapido.

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