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F Come Fagioli
Pubblicato il 11/03/2016
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I Fagioli appartengono alla sterminata famiglia delle Leguminose o Fabacee, eterogeneo insieme di oltre 18.000 tipologie diverse, suddivise in 650 generi, comprendenti arbusti perenni, erbe annuali, alberi d’alto fusto, liane tropicali e perfino piante acquatiche, disseminate su tutto il pianeta, dalle regioni subalpine alle zone desertiche fino alle foreste tropicali. Tra esse, i caratteristici frutti a baccello delle Papilionacee alle quali appartiene la pianta dei Fagioli contengono semi commestibili di alto valore nutrizionale, fonti preziose di vitamina B, acido folico e potassio, ma anche di ferro, magnesio, rame, zinco e utile fibra.

Una porzione media di Fagioli apporta all’organismo 16 grammi di proteine, il doppio di un uovo alla coque, e senza zavorra di colesterolo. In associazione con cereali come pasta o riso, l’introito di amminoacidi è da ritenere equivalente a una dieta carnea. La storia antichissima dei Fagioli inizia 5-6.000 anni fa, in due distinte aree di domesticazione delle specie selvatiche, la prima (varietà vulgaris) in America centrale, verosimilmente il principale centro di diffusione, e la seconda (varietà aborigineus, a semi più grandi) nella regione andina del Sud America. Come tutte le leguminose, i Fagioli possiedono una capacità unica, quella di proliferare in suoli avari e semiaridi, senza alcun bisogno di fertilizzanti, grazie alle colonie batteriche del genere Rhizobium, ospiti naturali capaci di trasformare l’azoto gassoso dell’aria in azoto minerale utile alla pianta, che in cambio fornisce loro carboidrati e proteine.

Segno inequivocabile dell’avvenuta simbiosi mutualistica sono i caratteristici  rigonfiamenti nodosi sulle radici, che virano al rossastro per la presenza di una proteina azotofissatrice, la leghemoglobina, affine all’emoglobina del sangue umano.
Il fenomeno della fissazione dell’azoto ha trovato spiegazione scientifica solo nel XIX secolo, ma empiricamente già Etruschi e Romani praticavano la rotazione sistematica delle colture, alternando grano e leguminose (tra cui le foraggere erba medica e trifoglio), atte a mantenere e reintegrare struttura e fertilità dei seminativi, sistema valido ancor oggi per il basso impatto ambientale e i costi contenuti. Anche i Fagioli si utilizzavano a tal fine, in età antica rappresentati unicamente dal genere Vigna a seme piccolo, rustico e resistente, di ambito nordafricano-mediterraneo, comprendente un’ottantina di specie, di cui una sola, l’Unguiculata, è da ritenere di rilevante interesse per l’alimentazione umana diretta. Sopravvissuta fino ai nostri giorni seppure in areale molto ristretto, la minuscola Fagiolina del Trasimeno (a Spello si chiama Risina, per l’estrema piccolezza del chicco) è un esempio classico di Vigna Unguiculata. Nessun legame con la vitivinicoltura : il nome è un omaggio allo studioso che per primo lo classificò, Domenico Vigna, direttore fino al 1632 dell’Orto Botanico di Pisa, mentre l’attributo Unguiculata (« dotato di piccola unghia ») si riferisce all’ileo (punto d’attacco tra seme e baccello) caratteristicamente marcato e cerchiato di nero, tanto da giustificare il nome popolare di « fagioli dall’occhio ». La varietà Vigna, originaria dell’Africa Occidentale (in Niger, Nigeria e Mali si concentra ancora oggi il grosso della produzione), resistente a suoli semiaridi, sabbiosi all’85% e poveri di sostanza organica fino allo 0,02%, si è propagata dapprima lungo le carovaniere subsahariane, per poi biforcarsi in due direttrici, Europa mediterranea e Medio Oriente. Nell’Italia del Cinquecento si raggiunge l’apice della diffusione: gli abitanti di Cremona, in particolare, si erano meritati il soprannome di “mangiafagioli”, tanto che il “Baldus” del maccheronico mantovano Teofilo Folengo cita un “caldare plenum fasolis cremonesis” e sentenzia: “ Si mangiare cupis fasolos, vade Cremonam!” Tra le fonti iconografiche è celebre il “Mangiatore di fagioli” di Annibale Carracci, raffigurante un contadino che se ne nutre avidamente da una scodella, accompagnandoli con pane, cipolle e vino chiaretto. Da Colombo in poi, mentre i Fagioli messicani e andini sbarcano in Europa, i nostri Fagioli dall’occhio compiono il percorso contrario, varcando l’oceano al seguito per lo più di trafficanti e negrieri, considerati cibo vile, buono solo per il bestiame (da cui lo spregiativo « Cowpea »), o per gli schiavi delle piantagioni, che col nome di « Black-eyed pea » ne fanno un caposaldo della cucina creola e cajun. « Bean », equivalente al francese « Haricot » ( a sua volta adattamento dell’andino « Ayacot » ), designa invece il fagiolo più grande e carnoso dell’era moderna, dal pedigree tutto americano, accompagnamento canonico del bacon durante i bivacchi dei pionieri del West.  Anche la pianta del fagiolo americano, rigogliosa e vigorosa, protagonista della celebre fiaba di Jack e del gigante, attrae l’attenzione di quasi tutti i primi esploratori del Nuovo Mondo: nel 1529 Alvaro Nuñez la ammira in Florida, nel 1535 è la volta di  Jacques Cartier alla foce del San Lorenzo, nel 1539 Hernando de Soto la ritrova alla foce del Mississippi. Per la bellezza del fiore, diverse specie come il Bianco di Spagna vengono ben presto spedite nei giardini botanici di tutta Europa. Suscitano curiosità pure i semi secchi, per forma e colore incomparabilmente più vari del genere Vigna, classificati in oltre duecento varietà, suddivise in quattro sottogeneri principali: « Phaseolus Vulgaris » ( il più importante), « Coccineus » o Bianco di Spagna, « Lunatus » o Fagiolo di Lima, « Acutifolius » o Tepary. Già nel 1544 il grande medico e botanico Pier Andrea Mattioli annota nei suoi Commentari: “In tutta Italia se ne ritrovano di più sorti, cioè di bianchi, di rossi, di gialli et di punticchiati di diversi colori". A fini alimentari, tuttavia, la coltivazione dei Phaseolus di origine precolombiana non riesce a scalfire, almeno in un primo tempo, il predominio delle antiche varietà dall’occhio, a loro volta subordinate nei consumi a ceci e fave. Papa Clemente VII, al secolo Giulio dei Medici, risulta una figura chiave per la diffusione delle nuove varietà, affidata alle comunità monastiche di Toscana e del Mezzogiorno, anche se per l’affermarsi definitivo dei Fagioli americani, favorito dalla meccanizzazione e dal progresso delle tecniche agricole, bisognerà attendere ancora un paio di secoli. Attualmente si producono nel mondo tre milioni di tonnellate circa di fagioli dall’occhio (Vigna), due terzi dei quali in Nigeria. Assai più rilevante il quantitativo di Phaseolus americani, 16 milioni di tonnellate prodotte principalmente in India, Cina, Stati Uniti e Indonesia, con rese per ettaro assai differenziate: mentre in India, infatti, le oltre due milioni e mezzo di tonnellate occupano sette milioni di ettari, l’agricoltura intensiva Usa ricava circa 900.000 tonnellate da 560.000 ettari. I Fagioli americani sono diffusamente coltivati anche in Africa orientale, in particolare nella regione dei grandi laghi (Kenya, Uganda, Tanzania) ove sussistono condizioni ecologiche affini alle zone andine. Rispetto ad altri legumi come ceci e lenticchie, i Fagioli hanno esigenze termiche più elevate, nei nostri climi adatte al periodo primaverile-estivo, con temperatura ottimale al di sopra dei 15 C° notturni e 24° diurni, garantendo così un rapido sviluppo delle piantine, pronte da raccogliere in 30 giorni per fagiolini mangiatutto e varietà nane, mentre ne occorrono 40 per le varietà da sgranare, che necessitano di appositi tutori. La meccanizzazione consente oggi un notevole risparmio di tempo e fatica, ma per diverse varietà autoctone di pregio, come gli Zolfini della Valdarno o i Fagioli del Purgatorio di Gradoli raccolta e pulitura si effettuano ancora laboriosamente a mano, con il vaglio oppure battendo con il correggiato i baccelli lasciati seccare all’aperto per farli aprire e separarli dai semi commestibili. Il problema di una relativa indigeribilità dei legumi va fatto risalire a particolari carboidrati come raffinosio, stachiosio e verbascosio,  oligosaccaridi che gli enzimi del nostro apparato digerente non sono in grado di attaccare, delegando perciò il compito alla flora batterica intestinale, con conseguente produzione di gas responsabili di gonfiore, flatulenza e altri disturbi digestivi. Vale la pena, per chi è particolarmente sensibile al problema, di spendere qualcosa in più, privilegiando le antiche varietà “dall’occhio” e altre tipologie specifiche caratterizzate da buccia sottile e seme piccolo, tenero anche senza ammollo.  Non è dunque solo per snobismo che i consumatori ricercano e premiano i prodotti a marchio di tutela Igp. Fino a una decina d’anni fa era praticamente impossibile trovare fuori dalla loro area di produzione determinati legumi di nicchia per i quali vi è ora una crescente e consistente domanda, a dispetto del costo più elevato. Un caso emblematico è il Fagiolo di Sorana, frazione di Pescia, nel Pistoiese, nelle due tipologie bianco e rosso, la prima da cottura al fiasco, la seconda da zuppe: “Per noi l’Igp è stata molto importante-dichiara il portavoce dei 22 produttori locali, Mauro Carreri- Prima del riconoscimento, avvenuto nel 2002, vendevamo a 4 euro al chilo, oggi vendiamo a 22”. Finora sono una mezza dozzina le tipologie a marchio di tutela Igp o Dop: accanto al Fagiolo di Sorana, troviamo il Fagiolo di Cuneo, il Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese, il Cannellino di Atina di ambito ciociaro, il Bianco di Rotonda e il Fagiolo di Sarconi (entrambi nel Potentino). Tra i membri Ue, solo la Grecia eguaglia il nostro paese con sei tipologie di Fassolia (tra cui gli extra large Gigantes Elefantes), mentre la Francia vanta due Igp, il Coco de Paimpol e gli Haricots du Tarbais coltivati ai piedi dei Pirenei. Anche la Polonia ha di recente ottenuto l’ Igp per il fagiolo bianco noto come Fasola Korczy?ska. Nella Penisola Iberica, bisogna citare le Judìas del Barco de Àvila, Igp al pari dell’Alubia de La Bañeza-León, mentre un altro ecotipo, la Faba Asturiana, ha conseguito la prestigiosa Denominazione di Origine, garanzia di indissolubile legame col suo territorio, quel Principato delle Asturie fra costa frastagliata e impervia cordigliera. Umili, e al tempo stesso aristocratici, i Fagioli sono senz’altro i più cosmopoliti tra i Legumi, nel corrente anno 2016 celebrati dalla Fao come fondamentale risorsa del nostro pianeta.

 


 

 

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