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Dal Bibenda Executive Wine Master
Pubblicato il 26/02/2016
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La scienza al servizio del vino (dal viaggio studio del IV BEM ai Feudi di San Gregorio)

La scienza e la tecnica sono strumenti imprescindibili nella viticoltura contemporanea. Fare vino è anche una questione di scienza, in un approccio multidisciplinare che investe tradizionalmente la geologia, la botanica e l’enologia. Meno risaputo è invece che oggi le discipline che contribuiscono alla produzione del vino siano anche la georeferenziazione, l’elaborazione elettronica delle immagini, l’automatica.

Accanto ai saperi più tradizionali si affiancano quelli propri della seconda rivoluzione industriale, quella dell’informazione.

Ricordando una frase del cav. Lino Maga che, alla domanda “come fa a capire quando è arrivato il momento di vendemmiare l’uva?” rispose “quando cadono le foglie”, non posso nascondere l’emozione nel pensare al legame intimo e forte di un vignaiolo con la sua terra. Legame che porta negli anni e con le vendemmie la sedimentazione della conoscenza, il radicamento e la forza del sapere, e con esse la sensibilità e l’attenzione verso ogni singola vigna, ceppo, grappolo.

Oggi questo modo di lavorare, la conoscenza specifica del territorio e il trattamento particolare dedicato a ciascuna pianta sono supportati dalla scienza e dalla tecnologia, e i nuovi concetti del fare-vino si chiamano zonazione, sostenibilità, preparazione d’uva. 

La zonazione non deve essere intesa come razionalizzazione della viticoltura in base alla cartografia, ma come materia interdisciplinare che coinvolge il geologo, il biologo, l’agronomo e anche il climatologo, per garantire una mappatura efficace del territorio in funzione del vitigno che si alleva e definire così le “unità vocazionali”, per un uso ottimale delle aree dal punto di vista della qualità della vigna

L’attenzione non è però soltanto al prodotto, ma anche al processo attraverso il quale esso si realizza, il suo impatto sull’ecosistema e il suo effetto sull’ambiente circostante, perché in un periodo storico di cambiamenti epocali (non solo climatici), il richiamo al rispetto per la natura e le risorse è di primaria importanza. La declinazione di questi concetti, fino a pochi anni fa relegati alla sola produzione industriale e al mondo dei servizi, è penetrata anche nell’agraria con grande vigore, così anche in viticoltura si parla oggi di modelli/paradigmi di sostenibilità. L’azienda vitivinicola moderna può, attraverso la scienza dell’informazione e l’automazione, da un lato minimizzare le quantità di prodotti utilizzati, dall’altro ottimizzare i trattamenti in maniera specifica per ciascuna pianta. Utilizzando sensori di posizione e misuratori della riflettanza delle foglie, si può determinare stato di salute, vigore, fabbisogno, sofferenza di ciascuna pianta, determinando anche le cosiddette “mappe di vigore”; quindi attraverso macchine a velocità variabile si può dosare in maniera topica la quantità di agenti e fertilizzanti. 

Lo sfruttamento dell’informazione precisa su vigneti e territorio viene utilizzato per effettuare trattamenti di precisione, in automatico, pianta per pianta. Si ottiene lo stesso effetto di un’azione tipica della viticoltura manuale, con risparmio di denaro, risorse, e si può ottenere un vino migliore.

Utilizzare la tecnica e la ragione per rimettere al centro la qualità di vita della vite - mi si perdoni il gioco di parole - è l’obiettivo finale. I “preparatori d’uva” usano in questo senso la ricerca scientifica a supporto dell’arte contadina della potatura. Ogni taglio effettuato su una pianta è un’amputazione, una ferita, dalla quale la pianta cerca di guarire al meglio ripristinando i flussi di linfa, ma la cicatrice resta; e una cicatrice troppo profonda compromette lo sviluppo e la crescita futura di tutta la pianta. La tecnica corretta di potatura si basa su poche e semplici regole e si applica a viti allevate a spalliera ma anche ad alberello (dall’osservazione specifica del quale nasce la tecnica), e consente di mantenere attiva la maggior sezione possibile del ceppo, conservando il flusso linfatico che garantisce alla pianta una vita sana e una produzione di uve di qualità soprattutto nella sua maturità.

È curioso cimentarsi nella degustazione dei vini prodotti quando si rispettano queste pratiche in vigna, che consentono risultati eccellenti anche su uve che sono tradizionalmente difficili da gestire in vinificazione, come il Greco di Tufo, ricchissimo di polifenoli facilmente ossidabili; il Greco riesce infatti particolarmente bene nelle annate difficili, in cui gli si presta un’attenzione particolare. Anche in questo caso la risposta sta nell’osservazione scientifica della natura, per cui una soluzione che si può adottare in maniera intelligente è quella di rispettare il mosto e lasciarlo ossidare, fino farlo diventare marrone, senza volerlo preservare a tutti i costi; la successiva fermentazione alcolica consumerà l’ossigeno legato riequilibrando il nettare. In questo modo si ottiene ad esempio il Cutizzi, vino che si presenta al naso con decisi stimoli floreali di ginestra e mughetto, scoprendo successivamente accenni di frutta a polpa gialla, albicocca e ananas. Il sorso, con un attacco morbido, fresco e sapido al contempo, svela un corpo sorprendentemente pieno. La bocca è appagata dalla lunghezza, dalla grassezza equilibrata, dalla freschezza dei ritorni di fiori e frutta che rendono il Cutizzi un vino esemplare per il suo territorio, fatto di piogge e venti di montagna, ma soprattutto di sole.

L’identità e la vocazione dei vini si può scoprire soltanto a patto di camminare tra le vigne, calpestando la terra, osservando i filari, ed è naturale che una grande componente dell’esperienza sia quella emozionale. Dietro ogni vigna c’è una storia, fatta di cicatrici e di stagioni; e certe viti di storia ne hanno veramente tanta, come la vigna dei patriarchi a Taurasi, che conserva in perfetto stato produttivo esemplari pluricentenari, allevati da generazioni e generazioni di vignaioli, che hanno seguito l’evoluzione della tecnica e della scienza, per conservare e tramandare la vita che è nel vino. 

Ed è infine buffo e confortante pensare che questa capacità di conservazione, che dà la possibilità di produrre l’Aglianico Serpico, una sorta di tentativo di consegnare la vite all’eternità, è un istinto degli scienziati da un lato, e dall’altro è proprio dei grandi artisti.

 

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