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F Come Frappe
Pubblicato il 05/02/2016
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Classici dolci carnevaleschi di antichissima origine, discendenti dei rituali "frictilia" che i Romani preparavano nello stesso periodo dell’anno.

La forma casuale di losanghe o strisce irregolari sfrangiate o annodate ha valso loro appellativi regionali sinonimi, come Cenci (Toscana), Gale (Bassa Vercellese e Novarese), Galani (Venezia), Fiocchetti (Montefeltro e Rimini) o Sfrappole (Bologna), sottilmente allusivi a trine, merletti e falpalà della fatua nobiltà settecentesca, che una tantum il popolo minuto aveva licenza di irridere nell’ambito dei riti carnascialeschi, durante i quali le leggi più severe erano sospese e le distanze sociali quasi si annullavano. Malgrado i cento appellativi diversi, la base è sempre la stessa: un semplicissimo impasto di farina e uova steso in sfoglia sottile e irregolarmente tagliato colla rotellina a smerli, fritto fino a doratura in olio ben caldo e spolverato di zucchero, deliziosamente croccante e fragrante, perfetto per la convivialità, da cui altri ben noti appellativi come Chiacchiere (Milano, Napoli) e Bugie (Torino, Genova). Altri nomignoli come Lattughe e Crostoli alludono invece rispettivamente alla forma sfogliata e alla consistenza bollosa e crostosa, indotta dall’alta temperatura dell’olio. Si sbaglia chi pensa che questi dolcetti di Carnevale siano soltanto italiani: Oltralpe esistono specialità molto simili, anch’esse chiamate  in vario modo, ad esempio Merveilles, Oreillettes o Guenilles; le più celebri, però, sono senza dubbio le Bugnes Lyonnaises, tipiche del Martedì grasso, totem gastronomico per eccellenza della città di Lione al pari delle Quenelles, in duplice versione, annodate e rese morbide dall’aggiunta di lievito nell’impasto oppure foggiate a orecchietta, basse e croccanti come la maggior parte delle tipologie nostrane.

L’origine è senza dubbio popolare, legata ai riti carnevaleschi precedenti la Quaresima, quando nelle piazze si radunava un gran numero di cittadini e di abitanti del circondario. Le Frappe, o Bugie che dir si voglia, in origine fritte nello strutto e dolcificate con un poco di miele, rispondevano in pieno allo scopo di distribuire, coram populo e semel in anno, un cibo socializzante e gratificante a basso costo, spettacolarmente estratto dai calderoni e liberalmente elargito a tutti, appagante a dispetto della minima quantità, quasi un’“ostia laica” condivisa in allegria dall’intera comunità in festa, dimentica per una manciata di giorni di privazioni, paure e oppressione sociale. A distanza di secoli, la tradizione continua, e in ogni angolo della penisola si continuano a preparare dolcetti dello stesso tipo per Carnevale e per festività simili, come il Purim ebraico. A Roma le Frappe fanno il paio con le tondeggianti Castagnole da medesimo impasto, spesso farcite di ricotta e creme; nel complesso, tuttavia, un po’ ovunque le preparazioni si sono alleggerite, affiancando alla frittura la cottura al forno, più leggera e digeribile. Le ricette, com’è naturale, sono molteplici, e infinite le varianti, alcune su base caratteristicamente regionale, come l’aromatizzazione con scorza d’agrume o limoncello nel Mezzogiorno o il bicchierino di Vinsanto in Toscana. Per non far torto a nessuno, riportiamo la ricetta di Pellegrino Artusi, autore de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene “, che argutamente chiosava: “Il mondo ipocrita non vuol dare importanza al mangiare; ma poi non si fa festa, civile o religiosa, che non si distenda la tovaglia e non si cerchi di pappare del meglio.”

Ed ecco gli ingredienti: Farina, grammi 240. Burro, grammi 20. Zucchero in polvere (oggi diremmo “a velo”), grammi 20. Uova, n. 2. Acquavite, cucchiaiate n. l. Sale, un pizzico. “Fate con questi ingredienti una pasta piuttosto soda, lavoratela moltissimo con le mani e lasciatela un poco in riposo, infarinata e involtata in un canovaccio. Se vi riuscisse tenera in modo da non poterla lavorare, aggiungete altra farina. Tiratene una sfoglia della grossezza d'uno scudo, e col coltello o colla rotellina a smerli, tagliatela a strisce lunghe un palmo circa e larghe due o tre dita. Fate in codeste strisce qualche incisione per ripiegarle o intrecciarle o accartocciarle onde vadano in padella (ove l'unto, olio o lardo, deve galleggiare) con forme bizzarre. Spolverizzatele con zucchero a velo quando non saranno più bollenti. Basta questa dose per farne un gran piatto”.
L’ideale è disporre di una spianatoia o di un tavolo di marmo per fare la classica fontana con farina e uova; quanto alla frittura, preferire l’olio di arachidi. Più le Frappe sono sottili, più sarà facile friggerle in pochi istanti in olio sfrigolante, mantenendole asciutte e croccanti. La generica “Acquavite” dell’Artusi può essere sostituita da un bicchierino di Marsala, di Brandy o di Mistrà.

Il gusto si esalta in abbinamento a un grande passito come il Noans de La Tunella, un terzo ciascuno di Sauvignon, Riesling Renano e Traminer Aromatico.

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