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Intervista a Aldo Cazzullo
Pubblicato il 29/01/2016
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Diversi i volti conosciuti, provenienti dalla terra del Nebbiolo. Si tratta di un piccolo lembo di superficie che, attraverso i suoi strati ha generato la vite,  si è fatta accarezzare dal vento, ha prodotto tartufi concependo artisti, grandi comunicatori, inventori: “Personaggi irregolari - li definisce Aldo Cazzullo - giocatori d’azzardo, a volte truffaldini, ma fortunati perché nati su un suolo magico, seducente, suggestivo, per alcuni stregato”. Da qui si evince l’attaccamento alla terra del noto giornalista che ricorda, con rispetto, gli insegnamenti dei genitori, il profumo ed il colore del Barbaresco per lui il migliore dei vini, poiché nella cittadina omonima vi è nata la nonna. Discreto, arrossisce alle domande un po' più personali, elogia il lavoro del colleghi del  Corriere della Sera. Studia, analizza, sviscera, in alcuni casi, le ragioni, le cause e quindi gli effetti di eventi  sui quali scrive. Estremamente disponibile, non ama l’approssimazione. Dotato di sensibilità è avvezzo al lavoro che svolge con dovizia e passione. Crede in ciò che produce diffondendolo e motivandone le ragioni. È provvisto di un bouquet inaspettato, più si rotea il bicchiere, più gli archetti restano attaccati al vetro e fuoriescono profumi imprevisti, coinvolgenti, sempre nuovi. Persistente e signorile come un Barolo Bricco Boschis Vigna San Giuseppe Riserva 2004. Se lo assaggi, non lo dimentichi più…

 

Lei è un esperto del settore, esiste veramente la crisi della carta stampata?

Certamente ed è un po’ sotto gli occhi di tutti, anche se si parla di crollo dei contenitori, in realtà, si dovrebbe  riflettere sulla crisi dei contenuti. Si tratta di un decadimento del giornalismo. Il nostro compito è fare meglio. Spesso non si pensa ai lettori, bisognerebbe impastare il giornale con la vita. È vero, è necessario trattare in modo ancora più approfondito argomenti come economia, esteri, offrire informazioni a chi viaggia, a chi investe, ma occorrerebbe calarsi maggiormente sugli aspetti della vita quotidiana. Ad esempio, le cronache cittadine pullulano di interviste rivolte ad  assessori. Bisognerebbe raccontare anche la città notturna, la malavita, quelli che tirano mattina. Restituire il respiro di una grande città, le sue meraviglie e il suo lato oscuro, i grattacieli e la strada. Per fortuna al Corriere abbiamo cronisti bravissimi.
 

Perché  risulta difficile che  note case editrici si interessino a scrittori emergenti?

Non è del tutto vero. Molte case editrici aiutano giovani  esordienti come è accaduto a Paolo Giordano. In realtà è il pubblico a scegliere: nessuno può imporre un libro. Non tutti i giornalisti riescono a trovare un pubblico per i loro libri.
 

Gli e-book sono una reale minaccia per l’editoria?

Sul libro la carta resiste meglio rispetto le notizie. Quando si ha del tempo a disposizione la navigazione su internet è diffusa, ma è difficile che un libro si legga online. Sono più fruibili tanti piccoli concetti da scorrere velocemente. Forse bisognerebbe scrivere libri più brevi, maggiormente definiti che raccontano  storie. È difficile trovare qualcosa che non sia romanzo, narrativa o saggistica. Bisognerebbe scoprire un nuovo genere: racconto di  storie vere e brevi. Cerco di farlo.
 

Cosa chiedono i lettori ai libri?

La storia, attraverso la quale, persone, cose per cui indirettamente noi stessi.
 

Lei si è interessato delle elezioni degli ultimi tre pontefici, con un semplice aggettivo tratteggi le loro personalità

Karol Wojtyla non era un conservatore ma un reazionario capace di gesti rivoluzionari; Joseph  Ratzinger un intellettuale, ma non aveva capacità di governo; Jorge Mario Bergoglio è un uomo di grande umanità, abituato a comandare. Lo si vede da come governa la chiesa anche se ha commesso alcuni errori.
 

Quali sono, a Suo avviso, gli episodi che hanno cambiato le sorti del mondo e dell’Italia?

La memoria collettiva ricorda l’11 settembre del 2001 con l’attacco alle Torri Gemelle e la strage di Parigi dello scorso 13 novembre, ma l’episodio che ha mutato, realmente, la storia d’Europa è stata la bomba di Madrid dell’11 marzo 2004 cambiando le sorti delle elezioni di una nazione. Avrebbero vinto, certamente, i popolari invece hanno avuto la meglio i socialisti. Questa trionfo ha decretato  che il terrorismo internazionale è un attore permanente sulla scena della politica europea e può condizionare la nostra storia. Per quanto riguarda l’Italia sebbene io mi sia occupato di molti casi come il terremoto dell’Emilia, i delitti Biagi e D’Antona, il mostro di Città di Castello ed il mostro di Marcinelle, l’evento più duro è stato il G8. Si è trattato di un male ingiusto procurato a uomini da altri uomini dello Stato e dico questo avendo ben presente la responsabilità dei centri sociali negli scontri di piazza. È stata una sconfitta collettiva.
 

Lei ha intervistato personalità di alto profilo, quali Le sono rimaste maggiormente nella memoria?

Steven Spielberg e Nils Liedholm. Non intervistato ma visto da vicino, colpiva il carisma di Nelson Mandela ma anche Erdogan, di cui condanno la politica, è un carismatico. 
 

In alcuni Suoi libri è presente il concetto di resistenza, esiste una resistenza di ieri ed un’altra di oggi?

Innanzi tutto è d’obbligo conoscere la prima iniziata l’8 settembre del ‘43 e finita il 25 aprile del ‘45 che ha una sua dimensione storica su cui si sono costruiti molti inganni perché  presentata solo come un “affare” di sinistra più popolarmente accostata  a  fazzoletti rossi e Bella Ciao, in realtà è stata un movimento collettivo costituito da militari, suore, preti, semplici donne. Negli ultimi anni è parso quasi che avessero ragione i ragazzi di Salò e che fossero delle vittime innocenti mentre non era così. I giovani della Repubblica di Salò avevano il coltello dalla parte del manico. I vinti, come li chiamiamo oggi, erano affiancati dai tedeschi.

Anche oggi siamo chiamati a resistere,  a ricorrere alle armi: si tratta di una guerra contro la sfiducia , contro il degrado morale del nostro paese. Nel mio libro Possa il mio sangue servire. Uomini e donne della Resistenza Ediz. Rizzoli ho riportato l’ultima lettera del capitano Franco Balbis fucilato dai fascisti. Alcune parole dicono: “Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e riportare la nostra terra ad essere onorata e stimata dal mondo intero”. Mi sento un verme al pensiero di come abbiamo ridotto l’Italia, dovremmo rammentare lui e quanti come lui si siano sacrificati. Questa frase andrebbe ripetuta a voce alta a tutti gli eletti al Parlamento e a tutti i condannati per corruzione.
 

In un altro Suo libro dal titolo Basta piangere! Storie di un'Italia che non si lamentava. Ediz. Arnoldo Mondadori, Lei critica il comportamento dell’italiano medio. Siamo davvero un popolo di piagnoni?

Volevo dire che le ultime generazioni non sono vittime di nessuno. Non si pensi che i  nostri predecessori abbiano avuto la vita facile. I nostri padri, i nostri nonni hanno combattuto guerre mondiali, guerre civili, hanno perso i loro cari per malattie che non esistono più o che si curano con una scatola di antibiotici. Essere italiani non è una sfortuna è una responsabilità perché vuol dire essere all’altezza di un patrimonio di arte, di cultura ed anche di virtù civili che i nostri antenati hanno lasciato. Essere italiani è un’opportunità. Nel mondo siamo considerati la patria di ciò che è qualità. Averlo sostenuto, averlo scritto mi è costata una propaganda di scherno specialmente in rete, ma sono contento lo stesso. Il libro ha venduto centomila copie e ciò conferma che gli italiani siano più legati all’Italia di quanto si creda anche se bisognerebbe recuperare l’orgoglio di essere italiani. 
 

So che non può parlare della Sua ultima opera ma, ci dica, almeno, a chi si è ispirato?

Alle donne.
 

Allora suggerisca un vino che potrebbe piacere al gentil sesso

Alta Langa DOCG ottenuto da uve Pinot nero e Chardonnay. 
 

Abbinamento cibo vino?

Barbaresco di Gaja con la fonduta, se possibile preparata da mia madre ed una spolverata di tartufi.
 

Una citazione sul vino?

Mi vengono in mente i versi di Alceo che brinda per la morte di Mirsilo: “Ora ci si deve ubriacare e bere anche a forza, dacché, infine, è morto Mirsilo”. Poi l’incipit oraziano: “Nunc est bibendum” riferito ai festeggiamenti per la morte di Cleopatra. È lecito rallegrarsi per la morte di un tiranno? Proviamo a riflettere…

 

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