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Il vino dei Cavalieri del Tempio
Pubblicato il 15/01/2016
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In uno dei luoghi più belli ed affascinanti del Lazio, in provincia di Latina, ai piedi dei Monti Lepini, a metà strada fra il suggestivo Borgo medioevale di Sermoneta e la romantica Ninfa, si innalza l’Abbazia dei Santi Pietro e Stefano di Valvisciolo. È situata sul lato occidentale del Monte Corvino, a 104 metri di altitudine, in una piccola valle detta “dell’Usignolo”, Vallis Lusciniae, da cui probabilmente origina il nome “Valvisciolo”, anche se secondo una minore corrente di studiosi il nome potrebbe derivare da “Valle delle Visciole”, varietà di ciliegie selvatiche presente nel territorio. La sua costruzione si fa risalire all’VIII sec. ad opera di monaci greci; successivamente, nel XIII secolo, gli storici affermano la presenza nell’Abbazia dei Templari; infine, nel XIV secolo subentrarono i monaci Cistercensi, che attualmente ancora oggi qui operano e risiedono. Furono questi ultimi che procedettero ai lavori di ristrutturazione dell’edificio, che si può definire di stile “gotico-cistercense”. Il modello architettonico a cui si ispira è quello dell’Abbazia di Fontenay in Borgogna, con tre navate illuminate da finestre ad arco e con un grande rosone con dodici raggi sulla facciata.

La presenza nell’Abbazia dei Templari è emersa durante i lavori di ripulitura operati nei primi anni del ‘900, quando numerosi simboli sono venuti alla luce, nella Chiesa e nel Chiostro, e gli stessi documentano la frequentazione dei Cavalieri dell’Ordine. Per esempio, nell’architrave centrale della Chiesa, c’è un magnifico rosone, composto da una rosa e da una croce uncinata tipica dei monaci guerrieri. Inoltre, nel Chiostro quadrangolare, cuore dell’Abbazia, nella parte Ovest, si può vedere un antichissimo crittogramma cristiano graffito nell’intonaco; nel simbolismo dell’aratro a forma di croce e nelle parole sembra alludere alla sofferenza redentiva del Cristo: Sator, Arepo, Tenet, Opera, Rotas, (che è un palindromo, una frase che rimane identica se letta da sinistra a destra o viceversa), tradotta in: “Il seminatore con l’aratro regge a fatica le ruote”, intendendo il richiamo al “ seminatore” come un riferimento al testo evangelico. Il contesto è diviso in cinque spicchi, come il simbolo di un pentagono, forma geometrica che pare i Templari usassero per difendersi da forze oscure a loro contrarie; una sorta di protezione alchemica. Tra l’altro si narra, forse una leggenda, che quando l’ultimo Gran Maestro Templare, Jacques de Molay, morì al rogo, gli architravi dell’Abbazia si spezzarono, e ancora oggi è visibile una crepa sull’architrave del portale principale.

Probabilmente i Templari frequentarono l’Abbazia e le zone limitrofe sia per la vicinanza con l’Appia e la Francigena sia per la presenza di possedimenti del Tempio lungo la via Casilina e sulla vicina costa di Terracina oltre a varie parti del Lazio come Ceprano, Anagni, San Felice Circeo e Sabaudia. Si sa che i Templari, tra le altre cose, curavano i campi, allevavano il bestiame, coltivavano le viti e, certamente, si dedicarono a tali attività anche nell’Abbazia di Valvisciolo, essendo la stessa situata nel mezzo di una grande area naturale. Successivamente, i monaci cistercensi dell’Ordine benedettino si insediarono nell’Abbazia e continuarono la conduzione agricola del patrimonio monastico, impiantando e migliorando le culture in genere ed i vigneti in particolare. Il principio “Ora et Labora” era, ed è ancora oggi, alla base dei loro convincimenti spirituali. Visitare l’Abbazia e l’area naturale attorno è cosa veramente piacevole e interessante: si contano circa 57 ettari di terreno pertinenti, di cui in parte boschivi, in parte coltivati a uliveti ed in parte, per circa 6 ettari (ma in continua espansione), coltivati a vigneti. Si parte da circa 100 metri sul livello del mare, sotto il monte Corvino, che fa parte della catena dei Volsci-Lepini, nel versante pontino lato Mar Tirreno, fino ad arrivare a 600 metri. Dall’Abbazia si apre un panorama meravigliosamente sorprendente che spazia sulla pianura pontina (un tempo palude), fino alla costa e al promontorio del Circeo. Il paesaggio intorno all’Abbazia è collinare-montuoso, con suoli calcarei e con un clima favorevole in quanto il Monte Corvino funge da protezione contro vento e aria fredda derivante dalla parte del Monte Semprevisa, ed inoltre, l’andamento collinare permette la giusta esposizione solare dei filari. Da secoli su questo territorio si produce un vino davvero esclusivo: il Valvisciolo Merlot, ancora oggi piantato dai monaci cistercensi in una zona dell’area dell’Abbazia che ha viti di sessanta anni d’età, vecchie, grandi e che probabilmente conservano, nel loro DNA, i geni di quello stesso vino che producevano i Templari. Si tratta di un Merlot ormai “autoctono”, perfettamente integrato in quel terreno, in quel clima e in quella zona.

È Padre Tommaso che da vari anni si occupa dei terreni coltivati a viti, ed è stato lui che, con grande entusiasmo, ci ha mostrato i vigneti dell’Abbazia: terreni di natura sedimentaria, argillosi-arenacei intorno a 150 metri di quota, ma andando più su diventano calcari, calcio e magnesio. Il paesaggio è contrassegnato dal carsismo, con numerose grotte, cavità e con scarso sviluppo del reticolo idrografico. Fortunatamente il clima, che è moderatamente continentale perché mitigato dalla vicinanza del Mar Tirreno (a circa 15 km), è caratterizzato dalle benefiche piogge “orogenetiche”, che si originano a causa del veloce raffreddamento subito dalle masse di aria umida marina che superano il Monte Semprevisa. Si è in presenza quindi di escursioni termiche, preziose per la viticultura.

I sei ettari circa di vigneti, sono principalmente coltivati a Merlot, ma da qualche anno anche a Malvasia, Trebbiano e Cacchione bianco. La forma di allevamento è per lo più a cordone speronato, eccetto nella zona più antica, che ha una forma di allevamento a pergola. Padre Tommaso ci tiene a sottolineare che le tecniche di conduzione della vigna sono rispettose dell’ambiente naturale, per esempio non vengo usati prodotti chimici. La produzione di vino totale, quindi non solo Merlot, si aggira attualmente intorno a 40mila litri annui, che vengono totalmente venduti agli abitanti delle zone limitrofe all’Abbazia. In Cantina c’è l’ausilio di un enologo esterno: vengono usati lieviti specifici e tecniche di vinificazione adatte; l’affinamento si svolge in contenitori di acciaio per un anno o poco più.

All’assaggio il Merlot si presenta di colore rosso rubino cupo, con sfumature tendenti al granato, consistente e limpido. L’olfatto è complesso, inizialmente vinoso, poi prevalgono sentori fruttati: amarena, visciola e frutti di bosco; poi si sono affiancate note speziate di pepe e cannella, infine un odore animale e di cuoio bagnato. Al palato è piacevole, con una buona acidità e un tannino moderato ma presente, di trama vellutata. L’odore fruttato che era prevalso nell’olfattiva, in bocca sembrava aver dato spazio ad aromi più evoluti ed a profumi terziari. Calore e morbidezza gli donano le basi per un equilibrio più che sufficiente. Un vino tipico, pulito e veramente gradevole. Durante l’assaggio il pensiero è andato dietro nel tempo e l’idea di essere il discendente di quello che producevano e bevevano i Templari, emoziona. Una delle loro regole era bere il vino “propter necessitatem ad frigus depellendum” cioè “secondo necessità per cacciare il freddo”... il freddo dal corpo, il freddo dalla mente e il freddo dal cuore.

Abbazia dei Santi Pietro e Stefano di Valvisciolo
Badia di Valvisciolo
04013 Sermoneta (LT)
Tel. 0773 30013

Per la realizzazione di questo articolo è stato fondamentale incontrare il Prelato che si occupa dei terreni vitati. Un ringraziamento quindi a Padre Tommaso, che ha dedicato un po’ del suo tempo mostrando l’Abbazia e le vigne, dando tante notizie storiche e parlando del vino lì prodotto. Un ringraziamento inoltre all’amico e collega del IV BIBENDA Executive Wine Master, Filippo Busato che, con la sua conoscenza ed esperienza, ci ha accompagnato nella degustazione del Merlot oggetto dell’articolo.

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