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F come falafel
Pubblicato il 04/12/2015
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Il cibo israeliano per eccellenza? Falafel! Risponderebbe un coro unanime da Tel Aviv a Gerusalemme, all’unisono con quartieri della Grande Mela come Crown Heights, cuore ebraico di Brooklyn, e ovunque nel mondo ci siano comunità ebraiche. In verità, la risposta sarebbe identica anche al Cairo, a Beirut o a Ramallah, visto che con pari fervore anche egiziani, libanesi e palestinesi rivendicano la paternità di queste irresistibili polpette vegetariane, ora tonde, ora schiacciate, a base di ceci (o fave) tritati, con coriandolo, aglio e cumino, accompagnate o meno da hummus e tahini, immancabili nella serie di antipasti nota come mezé e come spezzafame nell’iftar, il pasto rituale che dopo il calar del sole interrompe il digiuno del Ramadan. Culla storica ne è dunque il Vicino Oriente mediterraneo. Incerta permane l’origine del nome, che potrebbe derivare dall’arabo fal?fil, plurale di filfil, e cioé pepe, con allusione alla piccantezza (sanscrito “pippali”), oppure dall’aramaico filfal, da una radice lessicale che indica rotondità, caratteristica, appunto, delle polpette. Ipotesi diverse, come si vede, anche sul fronte etimologico, che non aiutano a far chiarezza sull’annosa e accesa querelle: ma i Falafel sono arabi o israeliani? Difficile attribuirne con certezza la paternità, dal momento che ciascuna delle due fazioni avanza una sua teoria a riguardo. L’ipotesi oggi più accreditata, suffragata da fonti documentali e ritrovamenti archeologici, è che l’origine dei Falafel vada ricercata circa un migliaio di anni fa nel Basso Egitto, presso le comunità copte di religione cristiana, che ne avrebbero poi diffuso l’usanza in tutto il Medio Oriente. Base del piatto, però, non erano i ceci, ma le fave, come ancor oggi si usa per preparare la Ta'amiya, sorella ancestrale del Falafel. A complicare le cose, peraltro, sussiste una terza ipotesi, che propende per il subcontinente indiano come atavica terra di origine. Radici non meno antiche vanta il Falafel ebraico, nella percezione comune cibo mitico risalente all’epopea biblica, sacrale retaggio dell’amara schiavitù in Egitto. In realtà, tale ipotesi non appare condivisa al cento per cento: dando prova di grande onestà intellettuale, lo chef-gastronomo Gil Hovav, autentica star mediatica israeliana, ha di recente dichiarato: “è arabo, non c’è dubbio. Anche l’Hummus è arabo. Quello che noi israeliani chiamiamo il nostro piatto nazionale è in realtà completamente arabo e così pure l’insalata di accompagnamento che noi chiamiano israeliana è di fatto un’insalata araba, araba palestinese. A conti fatti, noi israeliani abbiamo scippato i Falafel agli arabi”. Una presa di posizione, quella di Hovav, difficile da digerire in certi ambienti politici, abituati a considerare il Falafel intoccabile vessillo nazionale. E tuttavia è innegabile che a contare non debba essere soltanto l’origine di un piatto, ma anche la storia e la diffusione di esso, come nel caso degli Hamburger, tedeschi di nascita, ma statunitensi di adozione. A prescindere dalle origini, resta perciò fondamentale il merito degli ebrei di origine yemenita, che stabilendosi in Palestina nell’ultimo dopoguerra, hanno introdotto la variante levantina a base di ceci, oltre alla consuetudine del consumo nella pita, poi ripresi e amplificati in tutto il mondo dalle comunità ebraiche che hanno contribuito alla diffusione su scala planetaria del piatto. Pace fatta, dunque, almeno in cucina? Sarebbe auspicabile. Anche perché, da Toronto a Sidney, Falafel è oramai sinonimo di street food cosmopolita, nutriente, low price e supertrendy, da solo o come golosa farcitura della classica pita, con corollario di pomodori e cetrioli, sano, eco-friendly e gluten free, protagonista di locali in franchising come Maoz (Olanda, Francia, Spagna e Usa dal 1991) o gli Amsterdam Falafelshop di oltreoceano. Dalla Penisola Arabica, e precisamente da Abu Dhabi capitale degli Emirati, è partito invece più di recente l’ambizioso business della catena Just Falafel-JF street food indirizzato all’Europa, già forte di una quarantina di location e di un claim in linea con i principi dietologici e gli stili alimentari più antichi e più saggi del mondo, quelli delle genti mediterranee. Perfino la catena Mac Donald si è adeguata, introducendo in alcuni paesi come Israele il Falafel, in versione piatta tipo mini-hambuger, accompagnato dal canonico Hummus. Per gli appassionati di Guinness spettacolari, citiamo infine due record: quello della frittura di Falafel più grande del mondo, che ha visto protagonisti trecento chef libanesi che hanno distribuito a una folla entusiasta 5.173 chili di prodotto, e quello del Falafel più gigantesco, 24 libbre, confezionato e fritto a New York da un cuoco israeliano. 

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