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D come dragoncello
Pubblicato il 08/05/2015
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“Voici l’estragon et la belle échalote /Le joli poisson de la Marie-Charlotte/ Voulez-vous, pas vrai, un bouquet de lavande /Ou bien quelques œeillets?” Al Dragoncello (detto anche Erba dragona o Estragone) rende omaggio la canzone “Marchés de Provence”dell’indimenticato Gilbert Bécaud, che nel videoclip brinda con un’anfora di rosato. In Francia, e nel Midi in particolare, il Dragoncello è considerato il re delle erbe aromatiche, ed è onnipresente, alla stregua del nostro Prezzemolo. Il nome botanico è Artemisia Dracunculus, famiglia di riferimento, quella delle Asteracee, originaria dell’Asia centrale. Ha fiori piccoli, riuniti in infiorescenze giallognole a pannocchia e foglie lanceolate e sottili, color verde smeraldo. L’altezza supera di rado il metro, e si adatta bene a climi e terreni diversi, anche se predilige il clima freddo dell’alta collina, fino ai 6-700 metri di altitudine, con terreno grasso e ricco di humus. In Italia, difficilmente cresce spontaneo, per cui va piantato a inizio primavera (marzo-aprile), propagandolo poi per stolone radicale o talea di foglia. Solitamente viene consociato dai vivaisti col levistico (sedano di montagna), avendo cura di assicurargli una buona protezione nei mesi invernali. Il Dragoncello, grazie al suo sapore intenso vagamente piccante, un po’ mentuccia, un po’ sedano, funge da esaltatore di sapidità naturale, caratterizza celebri salse, come la tartara e la bernese, e aromatizza maionese e senape. Per la sua versatilità d’uso entra in moltissime ricette tradizionali,  dalle uova alla carne, e dalle zuppe ai crostacei. Ricco di oli essenziali come l’anisolo, ha fama di digestivo e di stimolante dell'appetito. Si usa tuttavia distinguere tra Dragoncello russo o siberiano e Dragoncello francese, pianta più robusta ma di minor pregio il primo, più aromatico il secondo. Prima che in campo gastronomico, tuttavia, il Dragoncello si è affermato fin dal medioevo per le sue proprietà medicinali (ad esempio di analgesico generale, molto efficace per affezioni del cavo orale e cura del mal di denti), grazie a Carlo Magno, che ne ha incoraggiato la diffusione anche nella nostra penisola. In Toscana, è considerata specialità senese la Salsa al Dragoncello, ideale per rilevare il sapore di lessi, pesce bollito e uova, preparata passando al setaccio le foglie tritate amalgamate ad aglio e mollica di pane inzuppata in olio d'oliva e aceto.

Le foglie fresche aromatizzano in maniera molto gradevole insalate a foglia e piatti unici come insalate di riso o di patate. In tal modo si approfitta al massimo dell’elevato contenuto di oli essenziali, resine, tannini antiossidanti e sostanze amaricanti, oltre all’alto tenore naturale in acido ascorbico (vit. C) e carotenoidi (retinolo equivalenti - pro-vit. A). È reperibile anche il prodotto essiccato, ma gran parte dell’aroma si disperde. Risultati migliori si ottengono conservando in freezer le foglioline già lavate e pronte all’uso. Il termine deriva dall'arabo “tarkhun” (piccolo drago), che nel passaggio alle lingue europee, è divenuto "estragon" in francese, taragona in spagnolo ed“estragao”in portoghese. L’italiano Dragoncello è assai più esplicito nel riferimento alla fiera mitica, giustificato forse dalla forma allungata delle foglie, simili a lingue di drago, oppure dalle radici aggrovigliate, o ancora dall’antica credenza che il succo della pianta avesse la magica proprietà di immunizzare dal veleno dei serpenti. Narra una vecchia leggenda toscana della storia d’amore fra una ragazza senese e un dragone a cavallo al seguito dell’esercito napoleonico. Dovendo ritornare in patria, costui trascorse con la bella un’ultima notte d’amore, e alle prime luci dell’alba si mise in cammino per raggiungere il suo reparto, non prima di aver scosso fuori dalla finestra gli stivali impolverati. Da essi caddero nei vasi sul davanzale dei semi, e ne germogliarono piantine sconosciute, ma profumatissime, che alla ragazza ricordavano il suo dragone. Dragoncello perciò fu il nome, in ricordo della breve e romantica storia d’amore. Assieme allo Scalogno, il Dragoncello mette il turbo al sapore di carni delicate, come quella di pollo. Scaldate una noce di burro in una padella e fatevi imbiondire per una decina di minuti lo scalogno tritato finissimo, quindi adagiatevi i  petti di pollo leggermente infarinati, rosolando su ambo i lati prima di cospargere di Dragoncello fresco, sfumando con vino bianco per poi unire un bicchierino di panna, avendo cura di far addensare un po’ la salsa. Servire con riso pilaf e accompagnare con Vignavecchia 2010 della azienda amerina Zanchi, fermentato in rovere, dorato, pieno e avvolgente, da vigna di Trebbiano di oltre quarant’anni vendemmiata tardivamente. 

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