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Divino Futuro
Pubblicato il 27/02/2015
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“Cretina e cafona la signora italiana che crede più elegante dire: ho preso quattro cocktails; che dire: ho mangiato un minestrone [...] Eleganti signore italiane, vi preghiamo di sostituire al cocktail-party dei convegni pomeridiani che potrete chiamare a volontà l'Asti spumante della signora B, il Barbaresco della contessa C, o il Capri bianco della principessa D. In questi convegni sarà premiata la migliore qualità del vino radunatore. E basta con la parola bar che va sostituita colle italianissime: Quisibeve”. (F.T.Marinetti, “Contro l'Esterofilia”, in “La cucina Futurista”, Casa Editrice Sonzogno, 1932)

La scorsa settimana abbiamo visto come il movimento artistico e culturale del Futurismo abbia detto la propria anche in campo gastronomico; oggi vediamo quanto il vino abbia ricevuto le stesse attenzioni. Alamanno Guercini, direttore del "Giornale Vinicolo Italiano" e giornalista che si occupò spesso della cucina futurista nei suoi scritti, affrontò il problema dell'arredamento dei locali in cui si consumavano i vini e le bevande italiane, con un articolo di cui lo stesso Marinetti citò i passi più significativi: “c’è tanta gente, in questo mondo, che può amare forme architettoniche antiche e gustare il vino moderno -preparato negli ultramoderni stabilimenti enologici! - tra le mura di costruzioni a tipo medioevale, o nelle catacombe stranamente complicate, rintronanti di selvagge musiche a base di jazz-band. Questa gente non pensa affatto che in quelle remote epoche l'uva si pigiava con i piedi; o se pure ci pensa, non vi attribuisce importanza. Probabilmente non vuole neppure ricordare che i fusti in legno di cui intorno trova abbondante decorazione vanno - ahimè - diminuendo di importanza nelle cantine nuove che adottano largamente le enormi batterie di vasche in cemento armato a piani multipli. [...] Persino le povere botti, seguono l'influsso del modernismo, e dopo aver tentato di ovalizzarsi al massimo, hanno esploso nella costruzione degli enormi tini di 800 ettolitri. [...] Se il vino è bevanda di antichissime tradizioni è tuttavia bevanda che si rinnova annualmente, si modernizza col progresso multiforme: è una bevanda dinamica, che contiene il carburante-uomo e il carburante-motore”.

A rileggere oggi queste frasi ci si rende conto di quanto la testimonianza storica e l'azione letteraria e artistica dei futuristi furono fondamentali anche per trasmettere ed incentivare una visione dell'enologia che è poi sfociata nelle moderne tecniche di vinificazione: il Lambrusco, per esempio, era il vino che più incarnava questa visione ed era infatti spesso presente nelle cene futuriste, poiché considerato per l'appunto un vino dinamico, vivace, eccentrico, frizzante e quindi futurista per natura. Fortunato Depero, che fu collaboratore della Campari per la quale disegnò la bottiglia che ancora oggi contiene il Campari Soda e realizzò centinaia di campagne pubblicitarie, dipinse “Riti e splendori d'osteria”, quadro in cui figure stilizzate brindano alzando calici e fiaschi di vino. Egli, nel bellissimo componimento intitolato “Quattro bocche assetate”, descrisse lo spumante come un vino che “appena giunge in bocca ricorda i cedri, i limoni, gli aranci e le schiume marine, frammisti a bei denti bianchi e a spumeggianti risate di gioia notturna. Trasparenze di scollatura, riflessi di alabastro, mani di cera inanellate; Parigi, Sanremo, Montecarlo, roulette, occhi di lampadine, dollari e girandole di fuochi d'artificio”.

Ma ciò che il Futurismo fece non fu soltanto pensare il vino come soggetto per componimenti e dipinti, né come semplice accompagnamento per piatti bizzarri, fu anche considerarlo un vero e proprio ingrediente per le “polibibite”. Il Barolo, il Barbera, il Marsala e l'Asti spumante furono protagonisti di molte ricette dei cocktail futuristi: il "Decisone" era composto per 1/4 di vino Chinato, 1/4 di Rhum, 1/4 di succo di mandarino e 1/4 di Barolo bollente; l’“Inventina” da 1/3 di liquore d'ananas, 1/3 di succo d'arancia gelato e 1/3 di Asti spumante. E così via. Oggi, uno dei produttori di vino che possiamo definire futurista o neo-futurista è proprio uno di quelli che di Barolo se ne intende: Giuseppe Rinaldi. "Citrico", questo il suo goliardico soprannome, è infatti sì grande personalità ed interprete del Barolo tradizionale, ma anche fine letterato tanto da comporre poesie d'ispirazione futurista. E allora, a conclusione di questa breve panoramica sull'arte e l'innovazione futurista, non potevo che rendere omaggio alle terre piemontesi, dove la cucina futurista ebbe i suoi natali, degustando per voi il Barolo di Beppe Rinaldi, uomo che unisce alla tradizione enologica, l’innovazione letteraria, in una sintesi moderna. Il Barolo Brunate 2010, nel bicchiere si presenta di colore granato scuro con riflessi rubino, a sottolinearne la gioventù che percepiamo da un naso fruttato ma elegante, con note di visciola, violetta e rosa canina, che diradano progressivamente e si incupiscono su accenni di tabacco Kentucky, cipria, humus con sentori finemente speziati di pepe di cubebe alternati a leggere brezze mentolate. In bocca tutto il carattere del cru Brunate e dello stile Rinaldi: austero, pieno, di grande vivacità fresco-sapida, fine e con un tannino ancora -ma piacevolmente- non del tutto domato. Lunghissima e coerente la persistenza gusto-olfattiva. 40 mesi in botti grandi di rovere. Abbinamento perfetto per uno dei piatti futuristi più vicini al nostro gusto: la Beccaccia al Monterosa salsa Venere. Provare per credere!

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