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C come cavallo
Pubblicato il 12/12/2014
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Per secoli il Cavallo ha accompagnato il progresso della civiltà umana, fornendo mezzi di trasporto, forza lavoro e carne a fine carriera, definitivamente soppiantato solo nel dopoguerra dal boom delle autovetture e dal diffondersi della meccanizzazione in agricoltura. I nati negli anni Cinquanta e Sessanta lo ricordano bene: le macellerie equine erano molto più diffuse di oggi, e a quel tipo di carne erano legate particolari virtù corroboranti e ricostituenti: così come l’olio di fegato di merluzzo curava il rachitismo, le bistecche di Cavallo al sangue erano ritenute la miglior cura per ferritina bassa e anemia, prescritte da medici di famiglia ai quali non si chiedeva di indagare se tali carenze fossero o meno di tipo assimilativo. Vero è che la carne equina si distingue fra tutte e per l’alto tenore in ferro (4 mg/100 g in forma chimica completamente assorbibile, che come effetto collaterale la rende particolarmente soggetta a imbrunimento e ossidazione), e per la caratteristica tendenza dolce, indotta dal glicogeno elevato, mentre ridottissimo è il contenuto di grassi e virtualmente assente il colesterolo. Il poco grasso di copertura presente risulta per di più facilmente individuabile ed in genere viene eliminato in fase di lavorazione, a tutto vantaggio della digeribilità. Le fibre risultano tenere, dal momento che il glicogeno, stoccato a livello tissutale, velocizza la frollatura della carne in seguito al drastico abbassamento del pH post mortem. Giova inoltre ricordare che nella carne di Cavallo è presente acido lattico in quantità doppia o tripla rispetto alla carne bovina, a tutto vantaggio di un’efficace difesa antibatterica del nostro organismo. Dal punto di vista culinario, infine, la carne equina si presta a innumerevoli preparazioni, e a piatti tipici che nel nostro paese vanno dalla veronese Pastissada de caval alle Pignate dei fornelli di Murgia. Apprezzatissima anche nell’Europa Orientale,  in Sud America e in Oriente (ove la Cina è in testa ai consumi), la carne equina è sempre più utilizzata da sushi master giapponesi come valida alternativa al tonno rosso Otoro, e non mancano chef creativi che ad essa si appassionano, come Gordon Ramsay. Salubrità e pregi organolettici, in sostanza, sono fuori discussione. E allora, quale remora osta a un maggior consumo? A far calare sempre di più, ed inesorabilmente i consumi valgono considerazioni di carattere etico alle quali soprattutto le nuove generazioni si mostrano sensibili. Per rendersene conto, basta visitare un sito come quello dell'associazione Horse Angels, ove si afferma: "Non vogliamo incriminare i carnivori, ma porre dei distinguo. Posto che consumare meno carne fa bene alla salute degli uomini, del pianeta e degli animali, ci sono animali nati per accompagnare l'umano nella vita di tutti i giorni, come il cane, il gatto e, per l'appunto, il cavallo. Sollecitiamo i proprietari a stringere la cinghia e tenersi il proprio cavallo amico, anziché farlo finire in bistecca". Emblematico e contradditorio è il caso degli Usa, un paese dove è più facile trovare nel menu alligatore o bufalo che carne equina: qui il Cavallo, parte integrante dell’epopea del West e del mito dei cow-boys, è ufficialmente un tabù alimentare, ma non per questo gli allevatori rinunciano a trarne lucroso reddito, tanto che ben 150.000 capi all’anno (ma c’è chi dice assai di più) hanno varcato nell’ultimo decennio la frontiera, avviati ai macelli di Canada e Messico (quest’ultimo, leader produttivo mondiale, con 78.000 tonnellate), aggirando così il divieto di mattazione negli Usa, abrogato solo nel 2011 dal Presidente Obama, nell’intento di porre un freno al fenomeno che fino a ieri faceva migrare milioni di capi all'estero. Al tempo stesso, a New York, il franco-canadese Hugue Dufour, chef della M.Wells Dinette del MOMA di New York, si è visto costretto a cancellare precipitosamente dal menù la tartare di Cavallo, sommerso da veementi proteste e reazioni sdegnate della clientela. La nostra rubrica settimanale non è certo la sede più adatta per un dibattito in proposito, ma risulta lampante la conferma di quanto gli stili alimentari possano cambiare da una generazione all’altra, sotto la spinta dei mutamenti di pensiero e dei rivolgimenti culturali che quella generazione si è trovata a vivere. Non più sfruttato dall’uomo per la forza lavoro, il Cavallo odierno ha tutti i numeri per diventare un “pet” come il cane o il gatto di casa, e di conseguenza l’ippofagia suscita orrore e repulsione. Non si spiegherebbe altrimenti la recente, forte ondata di indignazione pubblica che partendo dall’Irlanda ha dapprima travolto i Burger King per poi allargarsi a noti brand come Nestlé, Star, Buitoni e Findus, tutti implicati nello scandalo del dna equino rinvenuto in hamburger, piatti pronti e condimenti, perfino nelle prelibate polpettine svedesi dei punti vendita Ikea. In assoluto, Italia e Francia sono i paesi europei dove il consumo di carne equina conta su uno zoccolo duro più tenace. In oltre metà dei casi, purtroppo, il consumatore di casa nostra che si illude di acquistare a chilometro zero viene raggirato, con grave danno della trasparenza, della sicurezza alimentare e, naturalmente, del benessere degli animali, che mai come in questi casi viene completamente ignorato: capi provenienti da Lituania, Romania, Polonia o Spagna arrivano stressati dal lungo viaggio al mattatoio, ove basta un imbroglio di carte a certificarne l’origine “locale”. Tuttavia, statistiche alla mano, nel nostro Paese il consumo medio di carne di Cavallo è di gran lunga minoritario rispetto alle altre tipologie, ridotto oramai a un chilo e duecento grammi pro capite annuo, con un pugno di regioni a far da traino: in testa è la Puglia (regione dei fornelli, col cavallino murgese come piatto forte) col 32% del totale nazionale, seguita da Lombardia 14%, Piemonte 11%, Emilia- Romagna 9, Veneto 7,5, Lazio 7,5 (qui resistono le famose Coppiette di Cavallo). Anche in Sicilia il consumo di carne equina è consuetudine popolare, soprattutto a Catania, ove molte macellerie del centro storico vendono esclusivamente carne equina, anche già pronta, da consumare sul posto arrostita nei tradizionali “fucuni”. Gli appassionati se la godano, fintanto che possono. Cavallo fuorilegge? Non è una possibilità remota. Tutto dipende dall’iter di una recente proposta di legge depositata alla Camera dei Deputati dall’onorevole Michela Vittoria Brambilla, volta a considerare gli equidi (perciò anche muli e asini) animali d’affezione e non da reddito, con conseguente divieto di macellazione, importazione ed esportazione a fini alimentari e la cessazione di qualsiasi attività di vendita e consumo della carne equina; del pari dovranno cessare manifestazioni come il Palio di Siena, nel corso del quale i cavalli in gara riportano lesioni tali da dover poi procedere all’abbattimento. Per ora a fare testo è la Legge n.200 del 1 agosto 2003, successivamente regolamentata dai D.M. 5 maggio 2006 e 9 ottobre 2007 del MIPAAF, che impone l’obbligo di microchip e passaporto di identificazione, dal quale deve risultare la destinazione finale dell’animale, in base alle sigle D.P.A. (Destinato alla Produzione di Alimenti per consumo umano) e NON D.P.A., con la quale l’animale viene escluso dalla filiera alimentare vita natural durante e, almeno sulla carta, in maniera irreversibile. E’ il caso, ad esempio, dei purosangue da competizione, trattati ad alte dosi (se non addirittura dopati!) con farmaci di conclamata pericolosità per l’uomo e dunque incompatibili con le normative in materia di sicurezza alimentare. Purtroppo, approfittando della scarsità dei controlli e della caotica anagrafe equina, i cambiamenti fraudolenti di sigla sono tutt’altro che infrequenti: così spariscono tanti valorosi corridori in pensione, avviati a un’ingrata fine in impianti di mattazione clandestini, che per di più lucrano sulla pelle degli inconsapevoli consumatori, mettendone la salute a repentaglio. E questo dell’umana indifferenza è davvero lo scandalo più grande. 

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