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C come crauti
Pubblicato il 24/10/2014
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“Io non capisco la gente che non ci piacciono i crauti, bisogna andar molto cauti, perché… eh, non si sa mai! I crauti son quella cosa che si schiaffano dentro ai barili e poscia si vendono a chili, mezz’etto o quattr’etti, a piacer”.

Crauti uguale todescheria, per dirla in meneghino. E non è un caso che autore della ben nota ballata popolare sui Crauti sia Ivan della Mea, lucchese di origine, ma milanesissimo d’adozione, e di conseguenza gran motteggiatore dei mangiacrauti, come da tradizione risalente a Carlo Porta e alle Cinque Giornate (“l’odio che mai non avvicina il popolo lombardo all’alemanno”). Ballata ripresa da Gaber, Guccini, Lauzi, Cochi e Renato. A farla conoscere al grande pubblico è però Monica Vitti, a Canzonissima del 1972, memorabile nel suo scandire con attonita fissità il tragicomico prosieguo “No, pro-prio non lo sa-pe-vo che la pistola era carica. Certo, l’avessi saputo, non avrei fatto BUM!”, perfetto pendant dell’inguaiatissimo Armando di Jannacci. “Commissario, 'sto coltello non lo nego, è roba mia, ma io ci ho l'alibi: a quell'ora sono sempre all'osteria”. I Crauti, d’altra parte, nonostante un certo afrore da arma chimica, non sono altro che innocentissimi cavoli ; cavoli cappucci (forma tonda e color bianco avorio), sottoposti a crudo a particolare tecnica di conservazione sotto sale tramite fermentazione lattica, secondo usi tramandati da secoli nei paesi freddi del centro Europa, e quindi anche nel nostro Alto Adige. Vero è, peraltro, che in tutto il lombardo-veneto cavoli e verze rivestono tale importanza da dar nome al “verzèe”, il verziere milanese , l’equivalente dell’odierno mercato ortofrutticolo, con consumi fino all’ultimo dopoguerra talmente frequenti, che le cucine rurali erano letteralmente impregnate del caratteristico odore solforato, e anche dalle portinerie seminterrate di città salivano effluvi di cavolo lesso ben avvertibili in tutto il caseggiato. Refettori e mense dei poveri sapevano in permanenza di cavolo, all’epoca odore di miseria e di privazione che faceva storcere il naso ai “sciuri”. E tuttavia tollerato, rispetto al viscerale ribollir di sdegno suscitato invece dal repellente puzzo di Crauti, che nella Milano manzoniana si identificava con le guarnigioni occupanti, frammisto a birra acida e tabacco di infima qualità, insopportabile anche in luoghi aperti: “Ostia, che spussa gh’è ancòi per ‘sta via!” “Mona, la è passada la todescheria!” E’ trascorso più di un secolo e mezzo dal processo di unità nazionale e dalla dissoluzione dell’impero austroungarico, settant’anni dalle zuppe annacquate di cavoli e rape che erano rancio quotidiano nei lager nazisti, la nuova Germania è affratellata ai popoli latini nell’Europa Unita, con un parlamento comune; eppure, così profonda e pertinace è la memoria emotiva legata alla percezione odorosa, che sui Crauti incolpevoli grava a tutt’oggi una pesante nube di diffidenza e sospetto.

Dal punto di vista nutrizionale, nulla da eccepire. Si tratta di un alimento a bassissimo valore calorico, vegano per definizione (“kraut” in tedesco è l’erba, il vegetale commestibile), totalmente privo di colesterolo, ma ricco, in compenso, di virtù salutari. La fermentazione lattica un tempo eseguita a fini conservativi, infatti, non solo ne aumenta la digeribilità, ma arricchisce il prodotto di vitamine quali beta-carotene, provitamina A, C, B, E e K, oltre a minerali come potassio, calcio, fosforo, ferro, zinco e magnesio, più tracce di elementi tra i quali il più importante è il solfuro. Elevato è il contenuto di fitochimici con effetti antibiotici e anticancerogeni, con enzimi vitali coadiuvanti della digestione e amminoacidi. Per le loro proprietà probiotiche, al pari di yogurt e altri alimenti fermentati, i Crauti si rivelano utili fin dallo svezzamento e dalla prima infanzia, in quanto inattivano e neutralizzano batteri patogeni responsabili di molte malattie infettive e di infezioni intestinali. Imbarcati sulle navi, sono potenti antiscorbutici. Numerosi, infine, sono gli studi che ne provano le virtù antitumorali. E allora, cosa osta a un maggior consumo nel nostro paese? Il cliché del cibo germanico, classicamente abbinato a würsteln e patate, perdura da secoli, da quando il Mariani, nella sua opera “Trento con il Sacro Concilio 1673”, scriveva: “…di questi cavoli si fanno i Crauti, cibo, che vi s'usa molto, e più in terra tedesca, dove entra nelle mense a segno, che senza Crauti non si fa quasi pasto in tutto l'anno."Nella nostra Italia, il gusto fortemente sapido e acidulo fermentativo (“sauer”, direbbero i tedeschi) è in genere assai poco apprezzato, eccezion fatta per il Triveneto, in particolare il Friuli (che con i Crauti, qui detti “capuzi garbi”, prepara la Jota, mentre con le Brovade, le rape inacidite, si accompagnano Musèt e altre carni di maiale) e per l’alto Veneto, Vicentino soprattutto, ove, non a caso, ha sede la fratelli Zuccato di Caltrano, ditta leader per la produzione dei Crauti in scatola più che centenaria, in quanto fondata nel 1898. Qui ci sono ancora famiglie che continuano la tradizione della preparazione casalinga. I Crauti prodotti artigianalmente fanno a meno della pastorizzazione  e presentano perciò al massimo grado quel gusto così marcato, ostico ai più, ma innegabilmente adattissimo all’abbinamento con le locali pietanze di maiale e a rilevare il gusto dei lessi.

I Crauti delle Bregonze, ora compresi nell’elenco delle specialità tradizionali vicentine, intendono tutelare e valorizzare la produzione locale, che come starter di fermentazione utilizza un microrganismo, il Lactobacillus Plantarum, ricavabile dal latticello e dal siero di latte. In alternativa, può bastare la salamoia naturale dei cappucci, con aggiunta facoltativa di erbe aromatiche come il finocchio selvatico, ginepro e pepe in grani oppure di fettine di mele nelle varianti più delicate. Il processo, relativamente laborioso, iniziava in autunno e utilizzava il “brènto”, tradizionale mastello in legno, oggi sostituito da materiale plastico sanitizzabile. Il recipiente, con gli strati di cavoli affettati a listarelle sottili e immersi nella loro salamoia (bèva) con sale al 2,25-2,5%, va mantenuto per 3-4 settimane al caldo, fra i 15 e i 22° C, in modo da innescare e favorire al massimo il processo fermentativo. Compressi da un peso, i Crauti, sempre coperti dal loro liquido di governo, vengono spostati in luogo più fresco, solitamente in cantina, con temperature non superiori ai 10°, risultando già pronti dal mese di novembre. L’optimum durante il processo fermentativo è un tasso di acidità dell’1,6-1,8% , di cui 1-1,3% di acido lattico, con un pH compreso tra 3,1 e 3,7; la conservabilità è comunque limitata, fino alle soglie della stagione estiva, anche perché nella fase finale tendono a prendere il sopravvento microrganismi non propriamente olezzanti, come l’Enterococcus faecalis. La preparazione casalinga è tuttora fiorente in Slovenia, Ungheria, Polonia, Croazia interna, Serbia  e in vari paesi dell’ex Unione Sovietica. La produzione industriale vede al primo posto la Germania (Basso Reno), cui segue una produzione francese di “Choucroute”di ottimo livello, localizzata in Alsazia e nell’Aube.

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