Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
Assenzio e oblìo, prima parte
Pubblicato il 26/09/2014
Fotografia

La storia dell’assenzio è una delle tante che inizia bene e finisce male. Capiamo innanzitutto perché finì male. Nel 1905 una notizia raccapricciante fece il giro dei giornali di tutta Europa. Jean Lanfray, contadino svizzero di origine francese, aveva bevuto due bicchieri di assenzio, preso un vecchio fucile e sparato in testa alla moglie incinta uccidendo subito dopo anche le sue due figlie Rose e Blanche. Era ubriaco fradicio e non erano stati i due bicchieri di assenzio a farlo uscire di senno ma tutto ciò che si era bevuto durante  il giorno, prima della tragedia: una crème de menthe, un cognac, sei bicchieri di vino a pranzo, un altro bicchiere di vino dopo il lavoro, una tazza di caffè corretto al brandy e ancora un litro di vino prima di rincasare con altri caffè corretti. Era sua abitudine bere cinque litri di vino al giorno, un alcolista incallito, dunque, ma per la gente il colpevole era l’assenzio e per questo motivo fu bandito dalla Svizzera. Non ci misero molto i francesi a bandirlo anche loro nel 1915 e subito dopo fu fatto fuori anche in America. Si salvò solo in Spagna e Inghilterra. In Italia il bando arrivò solo nel 1939. Dalla vicenda svizzera dei primi del ‘900, ci fu l’inizio di tutte le leggende intorno alla bevanda a base di assenzio che lo vedeva, nell’immaginario collettivo, come una droga pericolosa dotata di strani poteri.

Nel mondo antico la pianta dell’assenzio era largamente diffusa e considerata una delle migliori erbe medicinali. Era un tonico stimolante, antisettico, vermifugo e come rimedio per febbri e dolori mestruali. Pitagora pensava che le foglie di assenzio nel vino facilitassero il parto. Poi nel corso dei secoli ci fu il vino all’assenzio ottenuto immergendo nel vino le foglie senza farle fermentare; anche l’acqua all’assenzio comparve, consigliata per il mal di stomaco e la birra all’assenzio, conosciuta come “purl”. Con quest’ultima ci si ubriacavano ben bene anticamente gli inglesi. L’assenzio che conosciamo oggi ha fatto la sua comparsa solo alla fine del XVIII secolo quando il Dottor Pierre Ordinaire avrebbe trovato l’assenzio selvatico e lo avrebbe preparato seguendo una sua speciale ricetta talmente alcolica che in breve tempo fu nota come “La Fata Verde”, La Fée Verte”. Ben presto divenne la cocaina del XIX secolo. Fu la bevanda associata ai poeti, pittori, artisti bohémien in genere, alla decadenza “fin de siècle” ma anche alle donne e alle classi lavoratrici che trovarono nell’ebbrezza dell’alcol un sollievo dalla vita miserabile che conducevano. D'altronde erano emarginati sia gli artisti, ritenuti perditempo, sia gli operai costretti a dure ore di lavoro. Così l’alcolico più bevuto divenne l’Assenzio perché poco costoso e perché il vino scarseggiava a causa dell’epidemia di fillossera che aveva distrutto tutte le viti. Così intorno al 1880 ci fu un duplice effetto perché le fabbriche di assenzio, che prima usavano l’alcol d’uva, passarono all’alcol industriale rendendo l’assenzio ancora più economico.

Ma cos’è l’assenzio? È una pianta chiamata scientificamente Artemisia Absinthium o Assenzio maggiore, dalle foglie color verde argentato e dal sapore molto amaro. In italiano con il termine assenzio si fa riferimento anche al liquore ottenuto distillando erbe officinali come anice verde, finocchio, melissa, coriandolo, issopo insieme all’artemisia absinthium. Ma l’artemisia absinthium contiene il tujone un terpene neurotossico, un veleno convulsivante strettamente connesso al mentolo e alla canfora che è presente in diverse piante in quantità differenti, anche nella salvia, utilizzata spesso in cucina. Di conseguenza si possono trovare tracce di tujone anche nei vermut e negli amari. L’assenzio del 1800 sembra che contenesse più artemisia e più tujone di quello attuale anche perché molto più amaro. Nei rituali dell’assenzio sono coinvolti sia l’acqua che il fuoco, per cui il più recente è il rituale della zolletta di zucchero con il fuoco e la mescolanza dei 3 elementi alchemici ma il flambée è un passaggio del tutto sbagliato. Il metodo classico corretto include assenzio e acqua con una zolletta di zucchero posta sopra uno speciale cucchiaino forato appoggiato sul bicchiere; dopodiché si versa lentamente dell’acqua ghiacciata sopra la zolletta. Uno stillicidio attento permetteva al bevitore del XIX secolo di osservare goccia dopo goccia il formarsi di scie di fumo all’interno della bevanda che s’intorpidiva alla presenza dell’acqua. L’assenzio fin de siècle era legato alla parola “scelleratezza” ma senza possedere lo sfarzo serpeggiante del peccato, era più un vizio. Con l’assenzio, in dosi moderate, si aveva una sorta di euforia senza ubriachezza ma a livelli elevati c’era l’idea che potesse essere un narcotico, anche un allucinogeno. Oltre al tipico stordimento sembra che ci fosse una lucidità della mente più limpida tanto che con lui spesso non si fissavano i muri, ci si guardava oltre. L’alterazione era reale ma si continua a discutere su quanto tutto dipendesse semplicemente dall’alcol.

© RIPRODUZIONE RISERVATA