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C come cus cus
Pubblicato il 11/07/2014
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Secondo il padre della Tunisia moderna Habib Bourguiba “il Cus cus è il filo che unisce le nazioni del Maghreb”. Immaginando una grande mensa mediterranea, si potrebbe addirittura definire il Cus cus un piatto ecumenico, comune a cristiani, musulmani ed ebrei. In Italia, non è solamente piatto esotico da ristoranti etnici, ma è caposaldo delle tradizioni culinarie siciliane, sarde e toscane. L’introduzione del Cus cus in quest’ultima regione si deve ai “marrani”cripto-giudei, accolti dai Medici a Livorno con larghissimi privilegi, sanciti dalle Costituzioni Livornine del 1591, poi ampliate nel 1593. La città labronica, divenuta porto franco, accoglie così genti da ogni parte del Mediterraneo, “Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, dicendo ad ognuno di essi salute... per il suo desiderio di accrescere l'animo ai forestieri di venire a frequentare lor traffichi, merchantie nella sua diletta Città di Pisa e Porto e scalo di Livorno con habitarvi, sperandone habbia a resultare utile a tutta Italia, nostri sudditi e massime a poveri...”. Gli ebrei si insediano in quartiere aperto, dietro il duomo, con massime libertà di culto e di politica interna della loro comunità. Il Cus cus era pietanza già nota, citata in un Makrè Dardekè (una specie di sussidiario scolastico per bambini) stampato a Napoli nel 1488. Nel secolo successivo a farne menzione è nientemeno che Bartolomeo Scappi, cuoco personale di Pio V, che fa riferimento a “una vivanda di semolelle con diverse materie alla moresca chiamata Sucussù”. Nella stessa epoca, è citato da Rabelais come “Coscotons à la mauresque” Per gli ebrei, il Cus cus è piatto sacrale, da preparare con animo pio, scevro da cattivi pensieri. Il Cus cus non necessita di speciali attrezzature, basta un fornello o anche un fuoco da campo che possa accogliere la pentola e la vaporiera, impilate l’una sull’altra e facili da trasportare ovunque, sulle vie carovaniere dei nomadi. Dal Maghreb, il Cus cus si diffonde così nell’Africa occidentale e nel cosiddetto Corno d’africa. Poiché i Berberi nomadi usavano tradizionalmente far cuocere il Cus cus a donne nere, in molti hanno avanzato l’ipotesi di un'origine subsahariana dell'alimento. Il viaggiatore arabo Ibn Batutah riferisce di un Cus cus di riso assaggiato in Mali nel 1350 e di un Cus un cus di miglio provato un paio d’anni dopo  in quella che è l'odierna Mauritania. Il Cascà o Cashcà è variante sarda del Cuscus, diffuso a Carloforte e Calasetta, nella Sardegna sudoccidentale, in origine come piatto semplice e povero unito a sole verdure (in genere, cavolo cappuccio o cavolfiore e ceci), poi arricchito con carne suina. A Carloforte, fondata nel 1738 da corallari liguri provenienti dalla località tunisina di Tabarka, si svolge ogni anno ad aprile un’apposita sagra. La storia è così raccontata da Corrado Barberis, direttore dell’Istituto nazionale di Sociologia Rurale:“Agli inizi del Settecento, a causa delle incursioni piratesche, la popolazione accolse l'invito di Carlo Emanuele III di Savoia, sul trono sardo-piemontese, di tra­sferirsi sull'isola di San Pietro allora disabitata e le diedero, in onore del re, il nome di Carloforte. Qui proseguirono le loro attività di pesca, e da qui dif­fusero il loro cuscus maghrebino, divenuto piatto fondamentale della loro cucina. Ancora oggi sulla piccola isola della Sardegna è viva la tradizione tabarkina, qui si prepara la "fregula", che dell'antico piatto riproduce solo in parte le tecnologie di preparazione.

Scambi commerciali ed immigrazioni trasferirono sul resto della penisola questa particolare preparazione, che ogni zona semplificò usando non più la semola di grano duro, ma la normale farina, e cuocendo i piccoli grumetti direttamente nel brodo anziché nella cuscussiera. Ecco dunque in Trentino e nel Veneto i fregolotti, in Romagna i manfricoli, in Umbria, nelle Marche e nel Lazio i frascarelli, e infine la pasta grattata, presente in molte regioni italiane: tutte preparazioni che hanno privilegiato il formato piut­tosto che la preparazione o l'ingrediente principale che dovrebbe essere la semola di grano duro. Ma è soprattutto il condimento che caratterizza i tre tipici cuscus italiani: quello ebraico di Livorno vede l'impiego di verdure guarnite con piccole polpettine di carne e si consuma in occasione del Capodanno degli alberi (Tu Bi Shvat); in Sardegna, più in linea con le anti­che usanze maghrebine, il cuscus si prepara con la carne di pecora o con sole verdure, mentre nel Trapanese è a base di pesce. Non si può dimenti­care, infine, il cuscus dolce, antica ricetta siciliana, fiore all'occhiello delle monache benedettine di un Monastero di Agrigento.” In Sicilia, in effetti, il Cus cus (o Cuscussù) ha un suo importante epicentro, con apposito festival a San Vito Lo Capo, nel Trapanese, ove il condimento è tradizionalmente di pesce, e alla Badia Grande del Monastero dello Spirito Santo delle suore dell'ordine Circestense, ad Agrigento, ove invece si perpetua come un tempo la versione dolce con pistacchi. Tale versione “da dessert” esiste anche in Tunisia, ove la semola si sposa a datteri, noci e mandorle. In tutto il Maghreb, la versione più diffusa è con agnello o montone, oppure, come in Algeria e Marocco, con polpettine di carne macinata, brodo vegetale, verdure e legumi, ceci in particolare, in versione più o meno piccante a seconda dell’aggiunta di salsa di Harissa a base di peperoncino e coriandolo. E’ sempre molto forte la connotazione religiosa e sociale, legata alla comune condivisione, irrinunciabile in tutte le grandi occasioni, come matrimoni, nascite, feste religiose. Ad accompagnare il Cus cus in tali circostanze, è di solito una bevanda analcolica, tradizionalmente il "leben" o "l'ben" , chiamato"lait ribot"dai francesi, latte fermentato che non contiene lattosio, ricco di fermenti lattici riequilibratori della flora batterica intestinale.

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