Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
C come ceci
Pubblicato il 27/06/2014
Fotografia

Quello dei Ceci è un lungo cammino, che a partire dall'età del bronzo e dalla culla genetica dell’Anatolia, porta da un lato in terra fenicia e dall’altro in Egitto, Grecia e penisola italica. Nell’antica Roma il “cicer” era ampiamente diffuso, tanto da attribuire al celebre oratore arpinate il “cognomen” (soprannome) Cicero-Ciceronis per via di un avo con escrescenze ceciformi sul viso. Il nome botanico Cicer arietinum si deve invece alla somiglianza del seme secco col profilo di una testa d’ariete. Tipica pianta arido-resistente, il Cece ha foglie piccole, che si diramano da un fusto pubescente di 20-40 centimetri, con apparato radicale fittonante che si spinge in profondità, riuscendo a proliferare bene anche in terreni siccitosi e stepposi. Dopo soia e fagioli, il Cece è la terza leguminosa al mondo, prodotta soprattutto in India (quattro quinti del raccolto mondiale) e in Australia, ove tuttavia gli ultimi raccolti sono stati falcidiati dal parassita fungino noto come ascochyta. Per risalire la china produttiva fortemente ridimensionata (che vale, tuttavia il secondo posto, davanti al Pakistan), i ricercatori australiani hanno messo a punto due nuove varietà più resistenti alle fitopatie, che rispondono ai nomi di “Ambar” e “Neelam”, la prima a fioritura precoce, la seconda di epoca media. In ambito mediterraneo sono invece diffuse altre due specie, il “Kabuli” dal seme grande, di colore chiaro, classicamente a testa d’ariete, e il “Desi”, più piccolo e squadrato, tipico di Medio Oriente, Iran e India. La semina si effettua sia in autunno, con ciclo biologico di 180-200 giorni, che in primavera, con ciclo più breve di 90 giorni, con temperatura ottimale sui 20°C. Per il resto, la pianta non ha particolari esigenze di terreno, anche se, come tutte le leguminose, mal sopporta la salinità e i ristagni d’acqua e i terreni troppo fertili, che comportano molta vigoria verde, limitando l’allegagione. I fertilizzanti hanno utilità relativa, in quanto, come in tutte le leguminose, il fabbisogno di azoto è assicurato da colonie del batterio simbionte rhizobium,che si installano sulle radici e si occupano della fissazione dell'azoto atmosferico nel terreno. La raccolta con sgranatura a mano, tipica delle zone rurali, è in declino a fronte della raccolta meccanizzata con mietitrebbiatrici, che consentono una produzione di 350 quintali per ettaro. Quanto a ricette tipiche, in tutto il Vicino e Medio Oriente sono popolarissime preparazioni come i Falafel (polpettine di Ceci) e l’Hummus, crema di Ceci con aglio ed erbe aromatiche. In  Italia i Ceci si coltivano soprattutto in ambito toscano-ligure. Per la loro praticità d’uso, i Ceci erano di frequente cibo da marinai, come dimostrano le varie focacce a base di farina di Ceci diffuse da Nizza alla Sardegna, come la Socca Niçoise, la Fainà de Ceixei genovese, la Cecina viareggino-livornese e la Fainé di Sassari e della Nurra. Ma le ricette tipiche sono innumerevoli, dalla Mesciùa spezzina alla classica Pasta e Ceci di Chianti e Valdarno, ( senza dimenticare la celebre Passatina di Ceci con gamberi, creazione di Fulvio Pierangelini) e solo per citare una ricetta del Mezzogiorno, la salentina Ciceri e Tria, pietanza ancestrale che sposa sagacemente legumi e cereali. Nel basso Piemonte sono rinomati i Ceci di Merella, presso Novi Ligure. In Tuscia, su suoli vulcanici al confine tra Toscana e Lazio, si coltivano il Cece del solco dritto di Valentano e il Cece vulcano, varietà nera assai gustosa, in Abruzzo ha fama il Cece di Navelli, mentre in Sicilia domina la carnosa varietà Principe. Assieme al Baccalà dei giorni di magro, i Ceci sono cibo canonico della tradizione romanesca. Molti ricordano ancora i preparativi, che cominciavano a inizio settimana e il giovedì, quando tutte le botteghe di pizzicagnolo esponevano grandi catini in terracotta marezzati di verde pieni di legumi in ammollo, destinati alla classica Pasta e Ceci o a lessatura al naturale, con un filo d’olio e qualche fogliolina di salvia o di maggiorana fresca. All’interno delle botteghe, l’effluvio sottilmente aromatico dei Ceci si mescolava all’afrore salmastro del baccalà in ammollo nell’acquaio di marmo del retrobottega, ove per il ricambio un filo d’acqua continua sgorgava dal rubinetto. I Ceci sono fonti preziose di vitamina B, acido folico e potassio, ma anche di ferro, magnesio, rame, zinco e utile fibra, abbassano colesterolo e trigliceridi e proteggono il cuore. Una porzione media apporta all’organismo 16 grammi di proteine, il doppio di un uovo alla coque, tanto che, assieme ad altri legumi confratelli, vengono spesso citati col nome di « carne dei poveri », visto che ancor oggi forniscono all’umanità i quattro quinti del fabbisogno proteico e un terzo dei grassi vegetali. A meno di non preferire l’inscatolato o precotto, i Ceci sono normalmente reperibili secchi sul mercato, per cui necessitano di un ammollo di 6-8 ore prima della cottura. In presenza di acque troppo calcaree, è buona norma correggerne la durezza con un pizzico di bicarbonato; in fase di cottura, poi, sono da sconsigliare temperature troppo alte e pentola a pressione, privilegiando invece coccio e tegami a fondo spesso, adatti a pazienti e prolungate cotture a fiamma dolce. In tal modo i legumi si manterranno integri e non spappolati, e tuttavia cotti a puntino, in modo da degradare cellulosa e fattori antitriptici (antidigestivi) che ne rendono problematica la digestione, anche se la tollerabilità può variare molto da individuo a individuo. Il problema di una relativa indigeribilità dei legumi va fatto risalire a particolari carboidrati come raffinosio, stachiosio e verbascosio, oligosaccaridi che gli enzimi del nostro apparato digerente non sono in grado di attaccare, delegando perciò il compito alla flora batterica intestinale, con conseguente produzione di gas responsabili di gonfiore, flatulenza e altri disturbi digestivi altre tipologie specifiche caratterizzate da buccia sottile e seme piccolo, tenero anche senza ammollo. Non è dunque solo per motivi edonistici che i consumatori ricercano e premiano legumi di nicchia teneri e gustosi come quelli cilentani di Cicerale,  in corsa per il marchio Igp. Nel Cilento dalle radici magnogreche, culla primigenia della dieta mediterranea, Lagane e Ceci è piatto tra i più richiesti alla Cantina del Marchese di Marina di Camerota. Bellezza e bontà del luogo valgono il viaggio. Da accompagnare col Vestalis, bianco fresco, solare e sapido della locale cantina Barone, da antico vitigno autoctono Santa Sofia, stretto cugino del Fiano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA