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C come chiocciole
Pubblicato il 02/05/2014
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“Babbaluci a sucari e fimmini a vasari un ponnu mai saziari” (proverbio tradizionale siciliano).
Fino all’ultimo dopoguerra le Chiocciole erano una risorsa aggiuntiva, frutto di raccolta sporadica nei periodi più piovosi dell’anno, talmente umili da non potersi quasi considerare vero alimento degno dei ricettari. Basti pensare alla grande inchiesta del Senatore Jacini sul mondo agricolo all’indomani dell’Unità d’Italia, che curiosamente le aggrega tra le derrate di raccolta stagionale assieme a frutta fresca e secca. Da allora le Chiocciole (il termine Lumaca o Limaccia, da molti ritenuto equivalente, è in realtà improprio, in quanto designa gli esemplari privi di guscio), sia pure con la loro proverbiale lentezza, ne hanno fatta di strada, entrando a pieno titolo tra le specialità gastronomiche più prelibate. Le nuove regolamentazioni entrate in vigore a partire dagli anni Settanta hanno di fatto eliminato la raccolta naturale, favorendo lo sviluppo dell’elicicoltura razionale, condotta in specifici allevamenti a ciclo biologico completo di Chiocciole da gastronomia del genere Helix, assai apprezzate sia per bontà che per salubrità del prodotto (rapporto peso-proteine superiore a tutte le carni bianche, minima percentuale di grassi, proprietà anticolesterolo). Negli anni Ottanta, il balzo definitivo, con l’ingresso nel mondo della trasformazione industriale, dei surgelati e delle conserve, determinante per un generalizzato e forte aumento dei consumi, svincolati una volta per tutte dalla stagionalità, primo fattore limitante per la reperibilità del prodotto. All’inizio degli anni 2000 il totale commercializzato, tra Chiocciole vive e conservate, toccava il tetto delle 320.000 tonnellate annue. La Francia è il primo paese consumatore (35- 40.000 tonnellate annue) e trasformatore, seguito a ruota dall’Italia, il cui consumo è stimato intorno alle 33.000 tonnellate, con prevalenza di allevamenti al  centro-nord, mentre ancora tiene la raccolta spontanea al sud e isole, Sardegna in particolare, ove la media dei consumi è sette volte quella nazionale. Nonostante il dinamismo del settore, sia in Francia che in Italia le quantità prodotte non coprono che un ottavo, un decimo della domanda, per cui è massiccio il ricorso all’importazione, specialmente da Grecia, Est europeo, Tunisia e Marocco. Dalla Cina (commercializzata con la denominazione sleale e fraudolenta di “Escargots de Bourgogne”) proviene la specie gigante Achatina (fino a 35 centimetri!), priva di reale pregio organolettico, guardata con sospetto perché portatrice di pericolosi nematodi e rovinosa per l’ambiente in quanto invasiva, molto prolifica e capace di erodere l’intonaco delle abitazioni, da cui ricava il calcio per rafforzare il guscio. In effetti, sotto il nome di Chiocciole sono raggruppate diverse specie: la più grande e rinomata è la Helix pomatia o vignaiola bianca del nostro settentrione, gros blanc o escargot de Bourgogne per i francesi. Tipica dell’Italia peninsulare è invece l’ Helix aspersa,  la petit-gris dei francesi,  più piccola e col guscio zigrinato, precoce e prolifica. Ancora più piccola è l'Helix (Eobania) vermiculata, la"rigatella" tosco-laziale protagonista della popolare “Ciumacata”romana di San Giovanni. L'Helix aperta, infine, tipica del Mezzogiorno e delle isole, è molto apprezzata in Puglia, dove si usa, per il suo gusto delicato, consumarla a crudo (da cui il nomignolo di "cozza di terra") o scottata appena su brace d’ulivo. Altre specie sopravvivono solo grazie alla raccolta spontanea, in quanto non remunerative per le piccole dimensioni, come la prelibata Helix (Theba) pisana, detta "giogia minuda" in Sardegna e in Sicilia “babbaluci” o “attuppateddi”, a seconda che sia aperta oppure in letargo, opercolata, cibo da bancarella durante la Festa di Santa Rosalia a Palermo. Ma la Sicilia non è solo tradizione: a Campofelice di Roccella, nell’entroterra palermitano delle Madonie, due giovani imprenditori hanno realizzato il più grande allevamento elicicolo nazionale (15 tonnellate di prodotto annuo), ove si produce una prelibatezza da tempo nota oltralpe, ma da noi pressoché sconosciuta: il Caviale di Chiocciola . Di gran pregio (fin dal Medioevo!) anche le Chiocciole  dei Monti Lessini, chiamate “bogoni” a  Badia Calavena e a Sant'Andrea  nel Veronese, ove si svolge apposita sagra (Marcà dei bogoni) la prima domenica di dicembre. Cherasco, in provincia di Cuneo, è sede dell'Istituto Internazionale di Elicicoltura, e al modello italiano di allevamento guarda con interesse il mondo intero, Francia compresa, in quanto riproduce il più possibile le condizioni naturali. Avvertenza importante: le Chiocciole raccolte in campagna devono essere purgate al fine di eliminare eventuale tossicità o residui amari di erbe o funghi di cui si siano cibate, mentre a inizio inverno o d'estate sono da ritenersi già purgate quelle chiuse con opercolo. Al centro-sud le preparazioni culinarie sono di solito trifolate o al pomodoro con aglio, peperoncino e mentuccia. Con esemplari più grandi, dalle carni delicate, è preferibile la cottura al burro alla borgognona, magari profumando con tartufo come da ricetta classica di Auguste Escoffier.  E’ esaltante l’accompagnamento con la Vernaccia di San Gimignano Evoè, fino al 2009 ancora dovuta alla mano dell’indimenticato Gianni Panizzi, ed oggi al suo apice evolutivo. Oro antico, non filtrata, esibisce ampio corredo olfattivo di muschio, felce, resina di bosco, alloro, rosmarino e una punta di miele amaro di corbezzolo, puntualmente riverberato al palato avvolgente e sapido, caratterizzato da lieve impuntatura tannica.

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