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La culla della Vitovska
Pubblicato il 04/04/2014
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Mario Soldati descriveva così il Carso: "C'è un incanto che appartiene a tutte le frontiere, e risponde a quella commozione irrazionale, viscerale, che non può non provare al cospetto di ogni frontiera chiunque ami davvero la libertà". Oggi, alquanto ridimensionato nei suoi confini dopo il Trattato di Osimo, il Carso italiano comprende l'intera provincia di Trieste e parte della Provincia di Gorizia. Ponte tra culture e postazione di confine, già a fine Settecento la politica teresiana ne aveva fatto un porto franco, con abolizione di dazi e tutela della libertà di culto. Koinè culturale, anche del vino, dove confluiscono e si fondano tradizioni di origine asburgica, slovena e italiana. Dall'indeuropeo Karst, che significa roccia, questa area è rocciosa, brulla, con affioramenti e depressioni, le “doline”. Grotte e caverne creano un passaggio sotterraneo alle acque e raccolgono l'acqua piovana, che scompone la roccia calcarea trasformandola in bicarbonato di calcio. Il carsismo crea deficit idrico in superficie ancorché le argille, ove presenti, trattengano l'acqua. L’altopiano, battuto dalla bora, è caratterizzato dalla presenza di terra rossa, ricca di ferro, alluminio e scheletro. Ed è vocato per la coltivazione del Terrano e della Vitovska, resistenti al vento e alla siccità. Il Carso costiero, a strapiombo sul mare, terrazzato - i celebri pàstini, che circondano il castello di Miramare -  presenta invece un substrato roccioso con litologia marnoso-arenacea, cd. flysch eocenico. Qui a differenza dell'altopiano non vi è presenza di terra rossa. Per capire la vitivinicoltura del Carso bastano due parole: "sacrificio” e “identità". Il sacrificio non è comprensibile se non si conoscono questi luoghi. L'uomo da sempre lotta contro la Natura per il suo sostentamento. E l’identità è l’orgoglio di una storia, di una cultura contadina. Intorno agli anni '80 si registra tuttavia una netta demarcazione tra passato e futuro. Alcuni viticoltori, veri pionieri del settore come Edi Kante, Stanislao Radikon e altri, ricercano vitigni autoctoni, rivoluzionano i propri vigneti: espianti e nuovi impianti, basse rese, alta qualità, passaggio da pergola al guyot o alberello. Molti realizzano cantine sotterranee, scavate nella roccia. Intorno al 2000 si manifesta un altro passaggio importante in molte realtà aziendali: la lavorazione per caduta, la lunga macerazione sulle bucce durante la vinificazione e le coltivazioni ecosostenibili. Il nostro viaggio friuliano ci porta a Sgonico, 15 km da Trieste, in località Colludrozza. Qui i fratelli Paolo e Valter Vodopivec (Bevilacqua, ironia della sorte), assumono la gestione dell’azienda di famiglia fin dalla metà degli  anni ‘90. Scelgono coraggiosamente di allevare solo Vitovska: 4,5 ettari vitati, 10.000 piante per ettaro, mezzo kilogrammo d’uva per pianta, nessun ricorso alla chimica in vigna.

Metodi non invasivi anche in cantina: uso di lieviti indigeni, lunga macerazione sulle bucce, nessun controllo delle temperature, nessuna chiarificazione o filtrazione. Nel 2000 un’altra importante innovazione: l’acquisto delle anfore giorgiane (considerate migliori delle spagnole) e la nascita, accanto alla “Classica”, della Vitovska “Anfora”,  che oggi raggiunge l’80 % della produzione: 6 mesi di macerazione con le bucce in tini di legno, 6 mesi senza bucce in anfora, affinamento 2 anni in  botti di rovere di Slavonia da 30 ettolitri, da 6 mesi a 1 anno in bottiglia. Paolo, il vignaiolo-poeta ci accompagna in vigna, ci racconta con orgoglio della sua Terra e poi ci conduce in cantina, sorprendendoci: un luogo che esprime sacralità, scavato nella roccia, che trattiene temperature, silenzio e umidità in modo naturale. Dominano le forme tonde. La pianta, con due sale circolari, una per le anfore, l’altra per le botti, ricorda il numero 8, simbolo di armonia cosmica. Le anfore interrate, disposte a raggiera, conservano gelosamente la Vitovska, come in una culla, tra ciottoli e lastre di pietra. Sembra che qui il tempo abbia altro ritmo, altre dimensioni. La degustazione ci consente di apprezzare l’evoluzione della Vitovska nel tempo. Quanto più evidente nel “Solo”, Anfora: il 2011 ancora estremo, spiccatamente minerale, con sentori di pietra focaia e un’indimenticabile e persistente salinità. Il 2009 più gentile, floreale, con ricordi di fiori di campo e camomilla, erbe selvatiche, buccia di albicocca, lampi di zenzero e note minerali, il tutto sostenuto da un’ampia tessitura di piccante, suadente freschezza. Ci appare vinta la sfida: il sacrificio, la poesia dell’attesa e la passione riescono ad addolcire le asperità di un vitigno generoso, ma nato per combattere.

Vodopivec 
Località Colludrozza 4 
34010 Sgonico (TS) 
Tel. 040 229181
www.vodopivec.it
vodopivec@vodopivec.it

 

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