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C come caramelle
Pubblicato il 21/03/2014
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Al pari dei sommelier, anche i maestri caramellai si affidano a prove continue e a un’attenta analisi sensoriale finalizzata a garantire giusto equilibrio e appeal gustativo delle specialità da essi stessi prodotte. Risulta infatti estremamente difficile controllare la concentrazione a caldo di una soluzione di zucchero, sia in fase di lavorazione, con l’ottenimento di una soluzione supersatura, sia in fase di raffreddamento, quando si formano cristalli che influenzano in maniera determinante finezza e palatabilità del prodotto. Il compito oggi è facilitato dal ricorso a opportune miscele con sciroppo di glucosio e zucchero invertito, che garantiscono miglior solubilità. Tuttavia, anche negli stabilimenti dolciari moderni ad alto grado di automazione, la figura professionale del maestro caramellaio resta essenziale per intervenire manualmente ovunque occorra: poiché il composto sciropposo indurisce velocemente quando si abbassa la temperatura, è fondamentale rimescolare con continuità ed energia, favorendo la formazione di un gran numero di microcristalli che mantengono plasmabile ed omogenea la massa in lavorazione. Nulla può essere lasciato al caso, e sono indispensabili intuito, forza e determinazione al momento opportuno. Doti eminentemente maschili, che in questo ambito professionale spiegano la netta prevalenza degli uomini sulle donne. In Germania, ad esempio, si diventa maestro caramellaio al termine di un triennio di formazione con specializzazione in tecnica dolciaria, comprendente un corso di dodici settimane presso la Zentralfachschule der Deutschen Süßwarenwitschaft di Solingen, istituto professionale altamente specializzato. Le materie di studio sono, come è naturale, chimica, fisica, biologia, tecnologia e matematica, oltre a tecnica aziendale e scienza dell’alimentazione. L’italiano Caramella suona generico, oltreché vagamente fatuo e lezioso, e rende solo in parte l’idea di quel multiforme, variopinto e coloratissimo universo di dolcezze del quale fanno parte Bonbons, Fondants e Dragées in Francia, Candies, Jellies, Toffees e Marshmallows dei paesi anglosassoni, in India Chikki, in Brasile Pé-de-moleque, in Giappone Konpeito (derivante dal Confeito dei missionari portoghesi tra Cinque e Seicento). Un universo che ha radici antiche nella storia del gusto. 

È stato scritto che il maestro caramelliere deve avere naso da profumiere, palato da sommelier e mano sicura in ogni fase della lavorazione. Tutto ha inizio dalla accurata selezione degli ingredienti, primi tra tutti i succhi di frutta e le erbe officinali, da amalgamare a sciroppo zuccherino e acido citrico o malico, oppure a polvere di latte nel caso di Caramelle mou e affini. La cottura della massa richiede una temperatura  precisa, più elevata nel caso delle Caramelle dure (160 °C), moderata (da 80 a 120 °C) per le Caramelle morbide, in entrambi i casi formate pezzo per pezzo, raffreddate e incartate da appositi macchinari. Gelatine di frutta e Caramelle gommose devono la particolare consistenza all’aggiunta a caldo (circa 60 °C) di gomma arabica (E414), sostanza di origine vegetale che impedisce la cristallizzazione degli zuccheri, ampiamente utilizzata anche nelle pratiche enologiche. ?Inibitori della cristallizzazione sono anche il miele, fonte naturale di zucchero invertito, e lo sciroppo di mais, entrambi con spiccata affinità per l’acqua, e pertanto ritardanti dell’indurimento. Solo a partire dall’Ottocento si può parlare di Caramella in senso moderno, ma assai più antica è l’arte dolciaria. “Confetti” erano chiamati genericamente, a partire dal Medioevo e per tutto il Rinascimento, i piccoli intermezzi dolci con frutti e spezie di vario tipo serviti nei banchetti tra una portata e l’altra. A metà del Seicento nasce la Pralina, dedicata al Duca di Plessis-Praslin capo dell’esercito sotto Luigi XIII e Luigi XIV, e un secolo dopo l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert dedica apposito capitolo all’arte della Confiserie, che “può eseguire in zucchero ogni sorta di disegni, schemi e figure”. A partire dall’ultimo dopoguerra, le Caramelle diventano un prodotto industriale di largo consumo, sull’esempio della tedesca Haribo (acronimo di Hans Riegel, il fondatore e di Bonn, la sede originaria), leader europeo con 15 stabilimenti dislocati in diversi paesi, 6.000 dipendenti e fatturato oltre i due miliardi di euro. Assai più piccole per dimensioni, ma non meno degne di nota per antica e illustre tradizione, sono parecchie aziende dolciarie del nostro paese, quali la Dufour, fondata da un nobile francese transfuga a Genova ai tempi della rivoluzione, o l’albese Leone, fornitrice della casa reale dei Savoia.


 

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