Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
C come cotognata
Pubblicato il 24/01/2014
Fotografia

Si prepara con mele cotogne, zucchero e limone, e a termini di legge UE è da classificare come “confettura” e non come “marmellata”, anche se quest’ultimo termine trae origine proprio dal portoghese “marmelo”, e cioè cotogno. Nella memoria di milioni di italiani è ancora molto vivo il ricordo dei dolci cubetti semisolidi bruno-rossastri, onnipresenti dalle mense scolastiche alle razioni militari e perfino negli ospedali, preziosi alleati degli sportivi per la praticità d’uso e l’apporto energetico concentrato, immancabili nello zaino dei gitanti in montagna e come merenda nelle colonie marine, imperanti ovunque nei mitici anni Sessanta, quando la Nutella non aveva ancora iniziato la sua irresistibile ascesa, né si erano affacciate sul mercato le merendine pronte. All’epoca erano due i brand industriali di riferimento, la sudtirolese Zuegg, che nel 1952 lancia sul mercato lo storico “Fruttino” nell’incarto trasparente, e la parmense Althea col suo “Cremifrutto”, entrambi prodotti di trasformazione tutti italiani, virtuosamente legati all’agroalimentare tradizionale. Oggi la Cotognata non è del tutto scomparsa, ma rientra fra le produzioni di nicchia, perpetuate in pochi laboratori artigianali, e al contempo è divenuto raro il frutto da cui si ricava il cotogno o mela cotogna, molto invitante e appariscente, originario dei climi caldi della Persia, e più precisamente del Caspio, dove si ritrova allo stato selvatico, coltivato ab antiquo dai Babilonesi, dai Greci (erano cotogni, con ogni probabilità, i mitici Pomi delle Esperidi) e infine diffuso nella penisola italica dai Romani, che lo consumavano a crudo col miele, secondo le modalità descritte da Columella nel De Re Rustica. Appartenente alla famiglia delle Rosacee, la pianta (Cydonia oblonga) può raggiungere i 5-6 metri di altezza, ed è coltivata sia nei giardini per scopo ornamentale, sia a fini alimentari, a cui sono adatte le sottospecie Maliformis, Pyriformis e Lusitanica. I frutti, irregolari e di un caratteristico giallo-verde con peluria superficiale, giungono a maturazione a settembre-ottobre. La polpa, fortemente astringente e acida allo stato crudo, ha spiccato potere addensante in virtù del tenore in pectine insolitamente elevato, ed è pertanto utilizzata, anche assieme ad altra frutta, per la produzione di conserve dolci quali confetture, gelatine, mostarde e, naturalmente, Cotognata. Alcuni frutti, riposti in armadi e cassettoni delle case contadine, profumavano per tutto l’inverno la biancheria. Oggi è la Bulgaria a detenere il record di una produzione europea ormai ridotta ai minimi termini, all’incirca ex-aequo con Asia e Americhe, per un totale di due milioni di quintali. Di un certo rilievo anche la produzione iberica, dove si ritrovano specialità come il Dulce de Membrillo e la Codonyat catalana, sorelle gemelle della Cotognata. In netto declino la produzione italiana, attualmente di seimila quintali, più o meno un trentesimo dei 175.000 rilevati dall’ Istat nel 1966, la maggior parte dei quali in Puglia, seguita a distanza da Campania e Sicilia. Con la sola eccezione della provincia di Lecce, ove tuttora sopravvive una apprezzabile concentrazione di piante, di fatto in Italia son venute meno le coltivazioni specializzate ed organizzate, ridotte a poche località salentine come San Pietro in Lama e San Cesario, ricadenti in un vasto avvallamento carsico chiamato Valle della Cupa. Le coltivazioni secolari (il cotogno può vivere fino a duecento anni), adattatesi al suolo pietroso e alla siccità, sono spettacolari, e portano frutti giganti di oltre mezzo chilo, noti come “pacci”, pregiata materia prima per la Cotognata leccese, antica specialità già lodata nel Settecento dal cuoco-filosofo Vincenzo Corrado. A Lecce si può trovare al bar pasticceria De Matteis di Viale Marconi, detto anche Bar Cotognata, ma si può ordinare anche on line dal sito Macchia del Barone. Una preparazione sostanzialmente identica si ritrova sia in Abruzzo che in Sicilia, ove la Cutugnata, tipico dolce invernale da mangiare a fette col pane, è sformata ancora calda in caratteristici stampini in terracotta. Piccole produzioni anche in Sardegna, nelle Marche e in due regioni settentrionali, Veneto e Lombardia, ove con un certo orgoglio artigianale si perpetuano antiche modalità di preparazione a lenta cottura in caldaie di rame. Non a caso dalle cotogne, un tempo importantissime nell’alimentazione e nell’economia locali, discendono anche nomi di località come Codognè, nel Trevigiano, ove si svolge ogni anno una sagra a tema, e la lombarda Codogno, ove i fratelli Cornali, in Via Roma, preparano la Cotognata come un tempo, selezionando frutti non trattati. Accompagnamento suggerito, la raspadüra di Grana Lodigiano, magari col San Colombano Rosso Banino Vigna La Merla, di Antonio Panigada. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA