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C come carpaccio
Pubblicato il 06/12/2013
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“Thinly sliced raw meat or fish served with a sauce”, questa la definizione dell’autorevole Merriam-Webster alla voce Carpaccio. Nel lessico culinario internazionale, Francia compresa, il termine si è oramai esteso a un ambito molto più vasto della ricetta originale creata a Venezia nel 1950 da Giuseppe Cipriani, fondatore dell'Harry's Bar,  per la contessa Amalia Nani Mocenigo, alla quale i medici avevano sconsigliato la carne cotta. Nei menu di tutto il mondo si incontrano oggi carpacci di ogni tipo, dalla spigola al canguro, accompagnati da ogni sorta di garniture con salse diverse e fantasiose e sia crudi che cotti, come nel caso del polpo, che viene preventivamente lessato; il Carpaccio Cipriani originale è invece ricetta di estrema semplicità, nient’altro che fettine sottilissime a crudo di controfiletto di manzo della migliore qualità, adagiate su un piatto e decorate da un dripping semiliquido di salsa universale, a base di maionese, latte, pepe bianco e Worchester.  E’ da ritenersi posteriore l’aggiunta di rucola e parmigiano, che avvicina molto la ricetta a un antipasto tradizionale, il Crudo all'Albese, che arricchisce le fettine di manzo marinate nel succo di limone con scaglie di grana e tartufo bianco. L’origine del nome resta, almeno in parte, un piccolo mistero: tutti concordano nel ritenerlo un omaggio al pittore della Serenissima Vector Scharpazo, al secolo Vittore Carpaccio, autore nelle Scuole veneziane di “teleri” celebrativi di grandi dimensioni, i cui cromatismi, in particolare un rosso cupo tendente al mattone,  potrebbero ricordare la pietanza. E’ lo stesso Cipriani a ricordarlo in un’intervista: “La carne da sola era un po’ insipida; ma c’era una salsa molto semplice, che chiamo universale per la sua adattabilità a carne e pesce. Ne misi una spruzzata sul filetto e, in onore del pittore di cui si faceva un gran parlare per via della mostra e anche perché il colore del piatto ricorda certi rossi dell’artista, lo chiamai Carpaccio”. Sul web e in decine di articoli, quel fatidico 1950 è ricordato erroneamente come l’anno della “grande mostra su Carpaccio”, mostra che in realtà non si tenne affatto se non nel 1963, alle Gallerie dell’Accademia, curata da Pietro Zampetti. Poi, più nulla per 41 anni, fino al 2004, anno di una nuova grande mostra che ha definitivamente rivalutato l’artista fin qui un po’ trascurato come uno dei grandi del Rinascimento. Ma anche spostando di tredici anni l’amarcord di Cipriani, la sostanza non cambia: il Carpaccio, in quegli anni del Boom, diventa uno dei capisaldi del gusto Cipriani famoso nel mondo,  al pari del Bellini a base Prosecco e pesca, al pari di Risi e bisi e altri risotti alla veneta. Nell’epoca d’oro degli anni Cinquanta ai dodici tavoli di calle Vallaresso a due passi da San Marco si dava appuntamento negli la più incredibile concentrazione di aristocratici, divi ed intellettuali dell’epoca, da Ernest Hemingway ad Aristotele Onassis, da Humprey Bogart e Laureen Bacall a Truman Capote, e ancora Orson Welles, Charlie Chaplin, Arturo Toscanini, Georges Braque e Peggy Guggenheim. Il Carpaccio diviene un po’ il simbolo di quel mangiare e bere alla veneziana che fa tendenza, e a premiare l’alto livello della cucina, in quei tempi di pionierismo, arriva la doppia stella Michelin. Cipriani apre a Torcello, alla Giudecca e ad Asolo, dall’alleanza con Lord Iveagh, proprietario della Guinness, nascono i lussuosi hotel, mentre Cipriani diventa un brand famoso nel mondo, una catena di alta ristorazione fiore all’occhiello dei luoghi più esclusivi dei cinque continenti. Poi, il lento declino. Nel 2007 chiudono le attività americane da tempo nel mirino del fisco, nel 2012 è la volta dello storico locale: le banche impongono a Cipriani di lasciare il timone del mitico Harry’s, un ex magazzino di cordami di quaranta metri quadri da dove il Carpaccio era partito alla conquista del mondo. 

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