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C come crackers
Pubblicato il 15/11/2013
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“Dalla polenta al cracker” titolava un articolo della vecchia “Gola” sull’evoluzione degli stili alimentari degli anni Sessanta. In effetti i primi Crackers all’italiana vengono prodotti nel 1954 dalla Pavesi Spa, azienda fondata a Novara nel 1937 da Mario Pavesi, oggi confluita nel gruppo Barilla. Una scommessa non facile in un paese che ha già, accanto al pane fresco, prodotti da forno a lunga conservazione, dai grissini alle freselle. Così la pubblicità mette l’accento su praticità d’uso e valenze dietetiche, mentre il nome Crackers Soda è un’evidente strizzata d’occhio alla dilagante moda americana degli aperitivi e dei cocktail. Agli italiani che viaggiano, grandi cartelloni luminosi nelle principali stazioni illustrano i vantaggi dei pacchetti sigillati “che mantengono i Crackers sempre freschi e croccanti, difesi dalla polvere, dall’umidità e dagli odori estranei”. Dal 1962 la Pavesi, all’epoca principale competitor di Motta e Alemagna, è anche autogrill in rapida espansione sulla nascente rete autostradale. Dal 1964 è sempre più glamour, col nuovo nome Gran Pavesi Crackers Soda e il famoso Carosello (1964-1975) del cartoonist e regista Biassoni, che associa i Crackers alle avventure di Lancillotto e Artù (“Morale della favola…tutti a tavola!) 

Curioso pensare che i Crackers, di origine americana, erano stati inventati con una destinazione d’uso ben diversa, come moderna evoluzione della durissima galletta di marinai e soldati.  L’invenzione dei Crackers viene ufficialmente attribuita al fornaio Theodore Pearson (1753-1817), che a Newburyport, Massachusetts, mise a punto nel 1792  una innovativa galletta a base di farina, acqua e sale chiamata Pearson's Pilot Bread, complemento alternativo al Sour Bread di zuppe marinare come la Clam chowder di vongole. Ma il vero punto di partenza dei Crackers moderni, così come oggi li conosciamo, sono i cosiddetti Water biscuits, privi di lievito; sempre nel Massachussets, a Milton, tale Josiah Bent, nel 1801 ha l’idea di biscottarli nel proprio forno in mattoni, rendendoli croccanti e friabili, da cui il nome definitivo Crackers, coniato dallo stesso Bent. Stoccati sulle navi in partenza dal porto di Boston, non si alteravano minimamente durante le lunghe traversate, grazie alla biscottatura e ai buchi superficiali, a intervalli regolari, chiamati con termine marinaro “docking holes”, o fori di attracco, atti ad evitare rigonfiamenti e sacche d’aria, garantendo inoltre una superficie liscia e regolare. Profittando del boom industriale dell’area, Bent cede la propria proficua attività alla National Biscuits Company, oggi Nabisco, colosso storicamente legato alla produzione di Crackers, un comparto che negli Usa di oggigiorno vale oltre 10 miliardi di dollari e dà lavoro a 38.000 addetti. I Crackers si possono consumare tali e quali, come spezza-fame oppure, tipicamente, per pulire il palato tra un assaggio e l’altro nei panel test. Nelle diverse forme rotonde, quadrate o triangolari, salati in superficie o meno, i Crackers rappresentano un supporto ideale per ogni tipo di cibo, dalla fettina di salame all’insalata russa, e dalle uova di salmone ai formaggi d’ogni tipo, a cominciare dal cottage spalmabile, offrendo una serie praticamente infinita di combinazioni e di varianti preziose al momento dell’aperitivo. Esempio tra i più rinomati, il Solomon Gundy, appetizer giamaicano di paté d’aringa affumicata piccante spalmata su Crackers, perfetto accompagnamento di un Daiquiri filologicamente corretto.

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