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C come cannolo
Pubblicato il 25/10/2013
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Caposaldo assoluto di gastronomia siciliana famoso nel mondo, ben rappresenta la sontuosità e il barocchismo che caratterizzano le abitudini alimentari dell’isola. Non a caso il Cannolo, sublime peccato di gola, si ritrova così spesso mescolato alla politica, ai palazzi del potere e perfino alla corruzione mafiosa. Già, ma Cannolo di quale città, e di quale maestro pasticcere? Sono in molti a contendersi la palma del migliore, anche se su un particolare tutti concordano: la farcitura espresso è fondamentale, perché, ad ogni minuto che passa, l'umidità della ricotta viene assorbita dalla cialda esterna, che perde croccantezza e tende, infine, a disfarsi. Onde evitare tale inconveniente, alcuni pasticcieri rivestono con cioccolato fuso la superficie interna del Cannolo, che in questo modo non si impregna, rimanendo croccante per più tempo. Purtroppo, quasi più nessuno prepara in proprio la “scorza”, e cioè l’involucro esterno (misure standard, 15-20 cm con diametro di 4-5), un tempo foggiato attorno a canne di bambù, oggi sostituite da appositi stampi di acciaio inox a norma. Le scorze, semplici o farcite al cioccolato e in cento altre maniere, sono oramai acquistabili già pronte da appositi laboratori industriali specializzati, risultano di buona e costante qualità e permettono agli artigiani pasticceri un bel risparmio di tempo; il rovescio della medaglia sta, semmai, in un certo rischio di appiattimento e omologazione del gusto. A Messina, Agrigento, Trapani non mancano indirizzi raccomandabili, ma capitali del Cannolo sono soprattutto Palermo e Catania. Si parla spesso di rivalità tra le due scuole, che usano in effetti decorazioni differenti: filetti o tondini di scorza d’arancia candita nel palermitano, verde granella di Pistacchi di Bronte attorno a una rossa “cirasa” nel catanese. Per il resto, il ripieno è sostanzialmente identico, a base di ricotta setacciata fine con lo zucchero, zuccata morbida e pezzetti di cioccolato fondente, né mutano gli ingredienti della scorza artigianale: farina, zucchero, materia grassa (in origine, strutto), uova, un pizzico di sale e un poco di Marsala, atto a conferire all’impasto profumo, corpo e un minimo di acidità. Ai palermitani va tuttavia riconosciuto il merito della ufficializzazione della ricetta e di una fervida attività di promozione, con appuntamenti a tema come l’internazionale “Sagra del Cannolo Siciliano” di gennaio e “Cannoli & Friends”, che si svolge a maggio nella suggestiva cornice di Piana degli Albanesi. Nell’albo P.A.T dei prodotti agroalimentari tradizionali riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, i Cannoli risultano comunque specialità di pasticceria regionale. Una terza città, a dire il vero, ne rivendica la paternità: specializzate nell’arte pasticcera erano, per passatempo, le recluse degli harem di Caltanissetta, (dall’arabo Kalt El Nissa, "Castello delle donne") ; liberate dai Normanni, molte si convertirono ed entrarono in clausura, trasferendo all’interno dei conventi le antiche ricette già destinate alla tavola degli emiri saraceni. Ma forse il Cannolo è ancora più antico: Marco Tullio Cicerone, agli esordi del suo cursus honorum politico, è questore a Lilibeo, “splendidissima civitas” della Sicilia occidentale, ove resta deliziato da un “tubus farinarius, dulcissimo edulio ex lacte factus” che del Cannolo è probabilmente l’antenato. Un’altra ipotesi storica lega il Cannolo al Carnevale, come confermato dai versi celebrativi di un poeta dialettale: “Beddi cannoli di Carnalivari/ Megghiu vuccuni a lu munnu ‘un ci nn’è!/ Su biniditti spisi li dinari /Ogni cannolu è scettru dignu’ e Re". Con un Cannolo come quello dell’Eurobar di Dattilo, nel Trapanese, ove non solo è di rigore la farcitura al momento, ma viene preferita la  ricotta al naturale, la cui granulosa consistenza risulta più leggera del mix setacciato gravido di zucchero, la scelta più felice è un Marsala d’antan come il Donna Franca della Florio. Ma chi ha tempo e voglia di un po’ di ricerca, tenga presente l’alternativa di un  grande Pedro Ximenes da single cask, commercializzato dalla Lustau nel 1996, in occasione del centenario, una vera cornucopia di sensazioni mediterranee di canditi, mallo di noce, miele caramellato, carruba, cioccolato modicano, liquirizia e capperi.

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