Bibenda
Bibenda, per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino.
Visualizza tutte le notizie
C come cholent
Pubblicato il 18/10/2013
Fotografia

Difficile immaginare un piatto più rappresentativo della cucina ebraica, per quanto soggetto a innumerevoli varianti a seconda del paese di origine di chi lo prepara. La prima citazione del Cholent askenazita è del 1180, in uno scritto del Rabbi Yizhak di Vienna. Il linguista Max Weinreich ne fa derivare il nome dal latino calentem, “(piatto) che riscalda”, o meglio “mantenuto caldo”, mentre un’altra ipotesi preferisce rifarsi ai due aggettivi francesi “chaud” e “lent”, con riferimento all’estrema lentezza del processo di cottura. La pentola del Cholent, in effetti, viene tradizionalmente posta sul fornello il venerdì sera, per poi mantenerla in forno a temperatura bassissima fino al momento del consumo. In tal modo, il giorno successivo è possibile recare in tavola un piatto caldo senza infrangere il divieto della Torah di accendere il fuoco e di cucinare durante lo Shabbat. Gli ingredienti sono molteplici e in proporzioni variabili sia nella variante ashkenazita, che in quella sefardita, chiamata Hamin, in ebraico‎. La prima è sostanzialmente uno stufato di carne di manzo (indicati spalla o biancostato), fagioli, orzo e patate sbucciate, spesso arricchito dalle salsicce di pollo kishke o helzel. Cipolle, carote, zucchine e pomodoro sono ugualmente ammessi, assieme a paprika e pepe. L’Hamin sefardita impiega piuttosto il riso assieme a legumi come i ceci, e tende a sostituire la carne di manzo con pollo o tacchino, aromatizzando con cumino e peperoncino. E’ importante che durante la cottura gli ingredienti siano ben ricoperti di acqua, in modo che risultino già morbidi al momento di trasferire la pentola in forno il venerdì sera, prima di coricarsi. A recipiente incoperchiato e temperatura al minimo attorno ai cento gradi,  la cottura può protrarsi tranquillamente per 20-24 ore, eventualmente aggiungendo al mattino altro liquido, se necessario. Nella variante sefardita-ispanica, un ulteriore arricchimento è dato da 4-6 uova sode con tutto il guscio, da adagiare alla superficie dello stufato prima che cominci lo Shabbat, mandando il tutto in forno. Al momento di servire si toglie il guscio e si distribuiscono a ciascun commensale le uova a spicchi, chiamate Huevos Haminados in quanto complemento dell’Hamin, del quale assorbono il colore bruno e i profumi. Nella versione ashkenazita-germanica del Cholent (che deve risultare morbido, ma piuttosto asciutto) è d’uso aggiungere nel piatto un paio di Gewürzgurken, i classici cetrioli croccanti, aromatizzati con aneto e semi di senape. Per secoli Cholent e Hamin hanno rappresentato, soprattutto nei mesi invernali, il principale piatto caldo di mezzogiorno da consumare in famiglia al ritorno dalla sinagoga. Ma il Cholent è anche cibo rituale che conclude il rito del Kiddush, preghiera del sabato recitata dal rabbino o dal capofamiglia, ed è inoltre legato all’Aufruf, in yddish la “chiamata” del promesso sposo a recitare la Torah durante le celebrazioni matrimoniali, come pure a Bar e Bat Mizvah del sabato mattina. Negli “shtetls”, le comunità ebraiche dell’Europa orientale, prima dell’avvento di gas ed elettricità ogni famiglia affidava al forno locale la propria pentola, per poi ritirarla il sabato mattina. Oggi le famiglie osservanti si sono attrezzate con recipienti hi-tech dotati di timer, in grado di cuocere automaticamente con lentezza programmata e conservare a lungo il cibo caldo, come in un thermos. Paese che vai, Cholent che trovi. In ogni paese le varie comunità ebraiche hanno adattato il piatto alle risorse locali, con derive del nome più o meno importanti. Il Sólet ungherese, ad esempio, pare sia antichissimo, precedente addirittura l’avvento dei Magiari, come pure la versione marocchina detta S’hina. Il Tebit iracheno si basa soprattutto su pollo e riso, mentre il Dafina ispanico con Huevos haminados è ricco di aromi e spezie quali aglio, cannella, pepe, zenzero e peperoncino. In molti Deli e ristoranti di città, infine, il Cholent è diventato anche attrazione turistica, in quanto piatto unico e nutriente, relativamente economico e “ready-to-serve”. La lunga cottura conferisce struttura, succulenza e persistenza aromatica notevoli: serve un rosso di corpo, con tannini morbidi e un bel bagaglio di profumi. Antonio Capaldo di Feudi di San Gregorio, la cui consorte ha origini ebraiche, produce il Rosh, un ottimo Aglianico kosher che risponde in pieno ai requisiti richiesti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA