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C come cioccolato
Pubblicato il 07/06/2013
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Usa, Germania e Regno Unito sono i principali produttori. In Italia ne consumiamo pro capite metà degli americani, sui 3, 2 kg all’anno, mentre il prodotto made in Italy supera le 200.000  tonnellate (su tre milioni e mezzo di produzione mondiale, terzo prodotto per tonnellaggio dopo lo zucchero e il caffè). È però utile ricordare che, in relazione con le differenti tipologie, il Cioccolato non è solamente cacao. A termini di legge, gli ingredienti ammessi assieme al saccarosio (se elencato per primo fra gli ingredienti, è il principale in ordine di peso) sono: cacao magro, cacao in polvere, granelli di cacao e burro di cacao, quest’ultimo opzionale e sostituibile con grassi di minor pregio. Un altro ingrediente, oramai di uso corrente nel prodotto industriale, è la lecitina di soia, un efficace emulsionante naturale atto a prevenire la formazione di cristalli di zucchero. Sono da considerare indicatori qualitativi le percentuali di cacao e di burro di cacao effettivamente presenti,  fissate a un minimo del  35%  e del 18% nel Cioccolato base. Nel Cioccolato extra la percentuale di cacao parte invece da una soglia del 45%, 28% per il burro di cacao. Il cosiddetto Cioccolato bianco manca in realtà del tutto di cacao, in quanto gli unici ingredienti sono latte in polvere, burro di cacao (20% minimo) e saccarosio (non oltre il 55%). Nel classico Cioccolato al latte  la normativa fissa a un minimo del 14% la sostanza secca derivante dal latte. Dal 2010 è sparito dalle tavolette il claim “Cioccolato puro”, fortemente voluto e sostenuto dal nostro paese, che a colpo d’occhio garantiva al consumatore l’assenza totale di grassi diversi dal burro di cacao, come i derivati dell'olio di palma e di colza, il grasso di shorea, il burro d’illipè e di karité (accomunati da caratteristiche chimico-fisiche e soprattutto punto di fusione fortemente disomogenei rispetto al burro di cacao, con evidenti ripercussioni negative sulla qualità finale dell’alimento); ritenuta fuorviante in apposita causa, la menzione “Cioccolato puro” è stata abrogata nel 2010 da sentenza della Corte di giustizia Ue. Un vero regalo per gli industriali, che ora, a termini di legge, possono commercializzare come Cioccolato un prodotto che contiene fino al 5% di grassi vegetali diversi dal burro di cacao, alla sola condizione di farne menzione in etichetta. Basti pensare che il burro di cacao è l’unico in grado di conferire una cristallinità particolarmente fine, legata alle cinque molecole grasse che lo compongono, ciascuna fondente a temperature diverse, comprese tra i 26 e i 31 gradi. Il burro di cacao, inoltre, non fissa l’umidità, garantendo perciò migliore conservazione e proprietà organolettiche ottimali. Non ne tiene praticamente conto la legislazione Usa, che classifica il Cioccolato semplicemente in base all’aggiunta più o meno rilevante di saccarosio: al top c’è l’Unsweetened (99-100% di cacao), seguito dal Bittersweet (in genere 60% di cacao, anche se la normativa parte da un minimo del 35%), dal Semi-sweet al 50% e dalla tipologia Sweet, la più dolce, che contiene solo un terzo di cacao, comunque inferiore al 50%. A questi tipi, che noi chiameremmo fondenti, si aggiungono il Milk e il White Chocolate. Oggi sappiamo che la qualità finale di un buon Cioccolato è strettamente legata al pregio della materia prima, e dunque al tipo di piantagione e all’origine delle fave di cacao, oltre che alle metodiche e ai tempi di fermentazione, torrefazione e lavorazione delle medesime. Generalizzando, più il Cioccolato è ricco di cacao, più diminuiscono i grassi (compresi quelli vegetali “sostitutivi” ) e lo zucchero. Aumentano invece le sostanze antiossidanti polifenoliche, come i flavonoidi e i tannini, secondo un recente studio particolarmente benefici per l’organismo, unitamente a una concentrazione di sostanze utili alla normalizzazione dei valori pressori: dieci grammi (due quadratini) di Cioccolato al giorno diminuirebbero del  27% il rischio d’infarto,  del  37% il rischio cardiovascolare generale e  del 48% l’eventualità di danni cerebrali. Uno studio Inran condotto a Roma ha evidenziato però come l’aggiunta di latte sminuisca e ostacoli addirittura l’assorbimento del potenziale antiossidante. L’alta percentuale di magnesio combatte lo stress e la fatica. Non è solo un luogo comune: in tandem con la caffeina (chimicamente conosciuta come 1,3,7 - Trimetilxantina), notoriamente neurotonica, il Cioccolato contiene il Teobromina (3,7 - Dimetilxantina), principio stimolante  alcaloide a effetto durevole, in grado di bloccare i recettori cerebrali dell’adenosina stimolando la risposta nervosa, analogamente a quanto avviene con la cannabis (da cui la definizione chocoholics addicted  talvolta affibbiata agli appassionati del consumo). Quel che è certo è che la stimolazione neuronale libera neurotrasmettitori  che infondono senso di benessere, interferendo con emotività, attenzione, prontezza di riflessi. Non a caso nelle civiltà precolombiane dal consumo di Cioccolato traevano vigore e concentrazione i guerrieri più valorosi, come si evince dal Popol Vuh, testo sacro della Genesi Maya, che fa nascere il Cioccolato dalla testa decapitata dell’eroico guerriero Hun Hunaphu, appesa a un tronco morto, che miracolosamente inizia a fruttificare cabosse di cacao dalle proprietà magiche. 

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