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Una diaspora moderna
Pubblicato il 17/05/2013
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Non ricordo un periodo più intenso per quanto riguarda le dipartite verso l’altro mondo di personaggi illustri. Nell’ultimo anno si sono intrecciate vorticosamente scomparse di donne e di uomini che hanno fatto la storia della scienza, della musica, dello spettacolo, e del vino. È come se chi, dopo tanti anni di protagonismo frutto dell’applicazione e profusione di intelligenza, sensibilità, vena creativa, capacità tecniche, intuito, fatica, decidesse che il livello di questa Italia fosse ormai troppo basso per meritare la loro presenza. Gli anziani se ne vanno in cielo, e i giovani che hanno energie e capacità da spendere se ne vanno all’estero. È una diaspora multiforme che a lungo andare rischia di anemizzare il Paese delle sue risorse più pregiate, umiliate dall’impossibilità di trovare sbocchi professionali in una logica meritocratica.

Il mondo del vino e il settore della ristorazione sono una cartina di tornasole dei tempi. Girando il mondo è impressionante - e per molti versi frustrante - rilevare come non vi sia ormai locale di eccellenza che non veda protagonisti chef, camerieri, sommelier, direttori di sala e maitre italiani, sempre più richiesti e portati a modello di professionalità, capacità e stile, alla stessa stregua secondo cui laboratori di ricerca aerospaziale sono colmi di ingegneri di casa nostra. Personaggi che magari in Italia avrebbero faticato a trovare un’occupazione part-time. Perdiamo tempo a discutere sui massimi sistemi, a pensare sempre che la colpa di tutti i guai sia di un fantomatico quanto astratto “Stato”, a trasformare qualunque cosa in ideologia. Nel vino perdiamo troppo tempo a discutere se sia meglio “naturale” o “industriale” e consentiamo che il fatturato del nostro export sia prevalentemente costituito da vino sfuso di pessima qualità. Siamo i più bravi in tutto eppure abbiamo la capacità endemica di farci rappresentare dai peggiori. Dovremmo indurre i ladri e i cialtroni a espatriare, non i nostri ragazzi migliori, anche se un Paese dove negli stadi si fischia sonoramente durante il minuto di silenzio, a chiunque esso sia dedicato, lascia poco spazio all’ottimismo.

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