Bibenda
Bibenda la Rivista N.37
INDICE DEI NUMERI
Numero 37
Numero 37
Giugno 2011
Franco Ricci
EDITORIALE
PROFESSIONALITÀ ZERO / di Franco M. Ricci
Tante ne ho viste e tante ne vedremo insieme sul tema della professionalità in questo Paese. Il turismo scende del venti per cento perché molti trovano inaccettabile l’ospitalità alberghiera e di ristorazione. Approssimata, becera, senza professionalità. 
Certo, lo abbiamo detto molte volte, non ci sono i presupposti di un positivo cambiamento, il nostro è un sano pessimismo che rinnoviamo di tanto in tanto, perché siamo convinti - ahimè - ancor più del contadino, che non si cambia la direzione dell’aratro quando è già nel solco. 
Qualche settimana fa ero ospite ad una cena importante, in uno dei posti più belli di Roma, una terrazza da favola sul Campidoglio. Con la presenza di personaggi di altissimo piano della cultura, della politica eccetera. Una settantina di persone. 
Aperitivo sul tavolo con spumante già versato in piccolissime flûte, come pure già versate erano le bibite di vari colori negli stessi bicchieri. Assenza totale di Sommelier, naturalmente. Camerieri: mi viene da dire solo che non si presentavano bene. Professionalità zero. 
Non aggiungo altro, se non il senso di vergogna nel vedere come veniva distribuito un pessimo fritto di verdure. Poi, la sala. Grandi candelabri al centro tavola, alcune candele che la leggera brezza della terrazza aveva spento, ne conto 19. Arrivano i 
primi: risotto lanciato nel piatto dai camerieri, come un muratore fa con la sua cazzuola e così tutto il resto... La qualità faceva la sua brutta figura, povero l’allestimento e triste l’ospitalità del catering. 
Ci siamo salutati quasi a mezzanotte, le 19 candele ai tavoli erano ancora spente. Eppure era una cena importante, in uno dei luoghi più belli del mondo. 
Questo solo un esempio. Tanti altri ne possiamo ricordare, come quel maître che alla richiesta di un vino in barrique rispose: “Eh, no signore, questi vini non sono ancora pronti!”. Come quella numerosa ristorazione che continua a proporre di fatto il vino della casa, mostrando una carta inaccettabile per il ricarico dei vini di qualità. Una ristorazione becera che continua a proporre piatti scontati e banali che non appresentano la nostra tradizione né, tanto meno, i nostri meravigliosi prodotti. 
Da ultimo, in ordine di tempo, il padiglione del Lazio al Vinitaly. Nello spazio dedicato alle conferenze, in ore di pausa un’ottantina di sedie vuote, nove occupate da persone che dormivano e leggermente russavano. Una trentina sdraiate invece 
sulle scale d’ingresso al padiglione per ripararsi dal sole. Ma del Lazio ne abbiamo segnalate già tante di oscenità, non è nostra intenzione sparare sulla Croce Rossa. 
C’è tuttavia anche quella bella Italia della grande cultura del cibo e del vino. Produttori che hanno aperto porte e finestre su vigne di incanto per creare un turismo di qualità. Ci sono Ristoranti vanto dei nostri viaggi e dei nostri territori. 
Se non fosse che la storia se ne frega dei grandi poliziotti, ma ricorda sempre i grandi assassini. 
E il turismo becero sarà imperante finché non si cambieranno le regole della falsa professionalità. Qualcuno dovrebbe investire su questo “petrolio” tutto italiano, su questa ricchezza imponente che il Paese ha nelle viscere. Investire con un “sistema”, senza arroganza. 
Nell’attesa, vivacchiamo al pensiero, purtroppo, che il vincente trova sempre una strada e che il perdente trova sempre una scusa. “La vita non è un picnic, e il vino perfetto non esiste”, mi disse Giacomo Tachis qualche tempo fa. Aveva ragione. 
 
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